matte
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« Risposta #87 il: 10 Marzo 2007, 10:57:44 » |
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più tardi finisco la scheda di Kaswal... ed ora... i Mobil Suit!!!
Direi di cominciare con i veri “protagonisti” della prima parte della storia… ovvero, i MS del Reich. Ed in particolare…
SP (Schützpanzer) 04A – Lohengrin
Caratteri generali. Il Lohengrin ha rappresentato il secondo MS di produzione di massa realizzato dal Reich, nonché il primo esplicitamente progettato per l’applicazione nell’operazione “Hindemburg”. Rispetto al suo predecessore, lo SP03 “Ferdinand”, vantava una corazza molto più solida, nonché un sistema di controllo ottimizzato – il che lo trasformò, rapidamente, nell’unità preferita da tutti i piloti del Reich, nonostante alcuni difetti che non furono mai completamente risolti.
Il primo e più grave limite del Null-Vier (come veniva amichevolmente chiamato dai piloti della Wehrmacht) era rappresentato dalle giunture, in particolare degli arti inferiori: troppo fragili, e facilmente esposte al fuoco nemico. In effetti, il progetto originale di Kristian von Deikun, designer di tutti i MS del Reich fino all’SP07 “Barbarossa” , prevedeva una completa blindatura di tutte le giunture: per ragioni di costi, questa venne applicata solo sulle unità destinate ai corpi di élite ed alle unità da combattimento delle SS (il cosiddetto blocco K). Durante la battaglia di Medina, i piloti alleati riuscirono a sfruttare a proprio vantaggio questo difetto, compromettendo il successo finale delle truppe del Reich.
Ulteriore pecca, l’abitacolo – sigillato ed a tenuta ambientale solo a partire del blocco D: questo impedì al Reich di impiegare, nel corso della battaglia di Salomon, il gran numero di unità ancora disponibili (circa 150), che furono sequestrate e riadattate dalla Federazione alla fine della guerra. Con il Null Vier, von Deikun introdusse il look & feel che lo renderà famoso. In particolare, la singola telecamera corazzata, che donava al MS l’aspetto di un ciclope – da qui il nickname ufficiale NATO e quindi della Federazione, “Cyclops” (Ciclope). Secondariamente, l’ampio “gonnellino” a protezione degli arti inferiori e del giroscopio: nonostante questo componente fosse considerato estremamente vulnerabile, esso non rappresentò mai un vero problema né per i piloti, né per i tecnici – diversamente dal Barbarossa, che per questo si rivelò pressoché inutilizzabile in ambiente atmosferico. Infine, il Null Vier fu anche il primo MS ad integrare un’arma termica nel proprio arsenale, aggiunta rivelatasi particolarmente efficace, e temutissima dai corpi corazzati alleati: durante la battaglia di Medina, ed in particolare nella sua terza ed ultima fase, fu proprio il ricorso alle armi termiche, ed alla trasformazione dello scontro in un vero e proprio corpo a corpo, a consentire lo sfondamento finale delle unità del Reich.
All’inizio della guerra, le forze armate del Reich disponevano di circa 400 SP04. Di questi, la gran parte (circa 300), erano state assegnate alla Wehrmacht (l’esercito): 70 erano state assegnate ai corpi da combattimento delle SS (tutte unità di blocco K), e solo trentina (tutte unità di blocco D) alla Kriegsmarine, il cui sviluppo fu del resto molto limitato fino all’inizio del conflitto. Le unità della Wehrmacht erano separate fra i 3 corpi d’armata, ciascuno dei quali dotato di due Schützpanzerdivisionen (Divisioni MS), per un totale di 50 MS per ogni divisione, così distribuiti:
A) Primo Corpo d’Armata (comandante: Dozul Zabi) “Hermann Göring”: divisioni “Hermann von Salza” (113°, comandante Anavel Gato) e “Friedrich der Zweite” (117°, comandante Garma Zabi)
B) Secondo Corpo d’Armata (comandate Rudolph Rahl) “Martin Bormann”: divisioni “Kurfurst von Homburg” (114°, comandante Shimon Romantz) e “Dietrich von Bern” (116°, comandante Herb Schneider, quindi sostituito da Artesia von Deikun)
C) Terzo Corpo d’Armata (Comandante Hans Rebrow) “Rudolph Hess”: divisioni “Karl der Große” (115a, comandante Sigurd Storr) e “Kaiser Willhelm” (118°, comandante Heintz Schnellinger).
Le unità appartenenti alle SS erano, invece, sotto il nominale diretto controllo di Cecilia Zabi, e raccolte in una sola divisione, il corpo d’élite “Prinz Eugen” il cui comandante era Kaswal von Deikun, nipote del professor Kristian von Deikun e considerato l’asso numero uno delle forze armate del Reich.
Successivamente, nel corso della guerra, ai sei corpi d’armata sopra citati ne vennero aggiunti altrettanti – che però, costituiti ex-novo, vennero dotati di soli MS di successiva produzione, ed in particolare l’SP05 “Tannhäuser”, l’SP06 “Parzifal” e l’SP07 “Barbarossa”. In effetti, la produzione di Null Vier terminò con il primo anno di guerra: complice la progressiva carenza di pezzi di ricambio, e l’insufficiente produzione di nuove unità, le prime 6 divisioni MS videro il progressivo assottigliarsi degli effettivi. Anche per questo motivo, nonostante la battaglia di New York sia passata alla storia come “la battaglia delle 30 divisioni corazzate”, per via delle 18 impiegate dal Reich, e delle 12 schierate dalla Federazione, il numero complessivo di unità realmente impiegate andrebbe nettamente ridimensionato.
SP05 “Tannhäuser”
Caratteri generali. Il progetto del Tannhäuser fu il più ambizioso e complesso supervisionato dal professor von Deikun. Lo scopo primario di Von Deikun era risolvere il più evidente limite dell’SP04, ovvero la limitata mobilità: per questo motivo, il propulsore di tipo Minovsky A, inizialmente applicato all’SP04, venne sostituito da un propulsore di blocco B, in realtà un modello di potenza e dimensioni ridotte rispetto a quello applicato sulle navi da guerra. Il particolare sistema di propulsione consente all’SP05 di muoversi con modalità simile ad un hovercraft (anche se non sfrutta alcun sistema di cuscinetto d’aria), ad una velocità nettamente superiore a qualsiasi altro MS. Nonostante i primi test si fossero rivelati molto promettenti, il progetto Tannhäuser fu temporamente bloccato dopo la battaglia di Medina, e riattivato solo dopo quella di Okinawa: troppo costoso il propulsore Minovsky A, e soprattutto troppo esigente in termini di consumo - l’autonomia di un Tannhäuser è infatti un quarto di quella di un Null Vier. Per questo motivo, nell’ultima parte del conflitto terrestre – ed in particolare: durante le battaglie del Venezuela, di New York, e nella prima fase della battaglia d’Europa – i Tannhäuser vennero riservati ad operazioni di sfondamento, preferendo gli SP04 e SP06 per il controllo del territorio e per le battaglie di logoramento.
Il primo impiego ufficiale dell’SP05 (o “Schwartzkopf”, testa nera, come simpaticamente chiamato dai piloti del Reich) fu la caccia alla White Base nel corso del secondo semestre del primo anno di guerra: le uniche unità all’epoca complete (per questo dette di blocco X) vennero assegnate ai tre migliori piloti del 116° (Herb Schneider, Gunner Ortega, Wulf Lehmann), le cosiddette “Schartze Sterne”. Le successive unità di blocco A, B e C (fra loro distinguibili solo per alcune minime migliorie del sistema di controllo integrato) furono quindi introdotte nelle neo-costitue divisioni corazzate 121° (München), 134° (Hamburg), 135° (Nürnberg) e 136° (Köln). Queste ultime, divisioni “miste”, composte anche da unità di classe SP06 ed SP07.
Il numero complessivo di SP05 effettivamente prodotti non è chiaro. Le commesse complessive del Reich, stando ai documenti ufficiali, parlano di 330 unità – di cui 30 assegnate alle SS ed al battaglione Prinz Eugen, ad integrazione e sostituzione dei Null Vier – ma solo una parte di essa fu effettivamente consegnata. Negli ultimi mesi di guerra, infatti, la produzione industriale fu concentrata intorno ai modelli 06 e 07, e soprattutto verso questi ultimi non appena la sconfitta nella guerra terrestre divenne evidente anche alle alte sfere del Reich.
Per quanto riguarda l’apprezzamento dei piloti, l’SP05 non ha mai goduto dell’affetto – talora incondizionato, proprio del Null Vier: troppo scarsa l’autonomia, e troppo complesso il sistema di controllo. Lo stesso Kaswal von Deikun preferì a lungo il suo Null Vier di blocco K al Tannhäuser di blocco C destinatogli da Cecilia, sostituendolo soltanto con il Parzifal di blocco B non appena venne reso disponibile.
Il più grosso limite dell’SP05, tuttavia, è da attribuirsi all’essere stato introdotto poco prima che la Federazione si dotasse di un proprio MS, e quindi al doversi confrontare con il nuovissimo RX78, ad esso superiore sotto quasi tutti i punti di vista – tranne per quanto riguarda l’inarrivabile mobilità.
SP06 “Parzifal”
Ultimo MS supervisionato dal professor von Deikun, si tratta di una specie di “mea culpa” nei confronti del quasi fallimentare progetto SP05. Il Parzifal sfrutta lo stesso pianale dell’SP04, consentendo un notevole risparmio di tempo in fase di progettazione, e così nella produzione di tutta la componentistica di base: rispetto al precursore, impiega un reattore di tipo A di potenza praticamente raddoppiata (e per questo detto A+) ed un sistema di controllo completamente rivisto. Inoltre, integra nel progetto iniziale (e quindi sin dal “famigerato” blocco A) la completa blindatura di tutte le giunture, risolvendo l’annoso problema del modello Null Vier. In ulteriore analogia al Lohengrin, il primo blocco di unità (la cui produzione fu limitata a circa una cinquantina di modelli) montava una corazza del medesimo spessore – rivelatasi comunque insufficiente rispetto alle armi d’attacco del Gundam. Per questo motivo, su consiglio del medesimo Kaswal von Deikun, il successivo blocco B fu caratterizzato da una corazza praticamente raddoppiata - condizione permessa dalle eccezionali prestazioni del reattore.
Il Parzifal, inoltre, sostituisce le armi termiche dei modelli precedenti – ancora in dotazione all’SP05, con armi di tipo “beam”, ben più efficaci – e, del resto, le uniche in grado di danneggiare seriamente la corazza del Gundam nel corso di un combattimento corpo a corpo.
Temutissimo dai piloti federali, che lo soprannominarono “Darth Maul” per via della particolare forma delle armi beam, il Parzifal ebbe un ruolo essenziale nel corso della seconda fase della guerra. In effetti, la principale critica mossa alla gestione industriale della guerra da parte del Reich consiste nella poca fiducia attribuita al progetto, per altro vincente, di Von Deikun (all’epoca ormai caduto in disgrazia) – a tutto vantaggio di un modello, il Barbarossa, rivelatosi rapidamente inadatto alla guerra in condizioni atmosferiche.
SP07 “Barbarossa”
Primo MS di produzione di massa non supervisionato da Von Deikun (e per questo caratterizzato da un nuovo nickname, non più derivato dai protagonisti delle tragedie di Wagner), introdusse notevoli variazioni rispetto ai prodotti precedenti. In particolare, venne abbandonato il modello costruttivo a blocco compatto, rimpiazzato da una tecnica analoga alla “frames tecnology” utilizzata dalla federazione per l’RX78 Gundam: quest’approccio modulare, in teoria, avrebbe dovuto consentire una più facile sostituzione dei pezzi danneggiati. In realtà, l’unico reale risultato di questo diverso approccio costruttivo fu l’immediato aumento dei costi e dei tempi di costruzione.
Ulteriore differenza rispetto al progetto originale di Von Deikun fu la sostituzione del singolo giroscopio con un triplice sistema di bilancieri: paradossalmente, questo sistema – pensato per una maggiore resistenza ed affidabilità rispetto al modello iniziale, si rivelò molto più fragile (probabilmente, perché inadeguatamente protetto), rendendo il Barbarossa una vera e propria “Sitting Duck” in condizioni atmosferiche.
Di contro, l’SP07 si rivelò – da subito, un modello estremamente versato nel combattimento spaziale. La particolare tecnologia costruttiva, infatti, consentiva l’applicazione di un numero considerevole di thruster e di vernier jet, rendendo l’unità – in rapporto a massa e dimensioni, nettamente più maneggevole di qualsiasi altro MS del Reich.
Alla fine, durante la battaglia di Salomon, a giocare contro le forze del Reich – oltre al “tradimento” di Von Deikun – fu la sostanziale inesperienza di gran parte dei piloti assegnati a queste unità. Come ebbe a dire lo stesso Von Deikun nel corso del secondo processo di Norimberga, “se Gihren Zabi non avesse ordinato il suicidio dei nostri migliori piloti nell’inutile battaglia di New York, respingere le forze armate federali sarebbe stato un gioco da ragazzi…”
Probabilmente, Von Deikun cercava di nascondere le proprie responsabilità, ma nelle sue parole c’era un fondo di verità: dei pochissimi modelli sopravvissuti alla guerra, i tecnici federali hanno espresso un giudizio più che lusinghiero, fatti salvi i citati limiti. Il progetto RZ78 HiGundam beneficiò infatti di buona parte del know-how conseguito durante la progettazione dell’SP07.
Sturmpanzer 01 – Fafnir
Dopo i primi travolgenti successi, la Wehrmacht e la Kriegsmarine commissionarono al servizio di ricerca e sviluppo coordinato da Von Deikun il progetto di un’unità di supporto ai MS. Questa avrebbe dovuto usufruire di tutte le novità tecnologiche introdotte nei progetti SP0x, abbinandole alla potenza di fuoco delle corazzate da guerra e ad armi a megaparticelle, troppo voluminose per essere integrate nei MS.
Il risultato finale fu la serie Sturmpanzer: il primo di essi, il Fafnir (dotato di due cannoni a megaparticelle e per questo chiamato come il drago di fuoco del mito tedesco), fu effettivamente impiegato nel corso della battaglia del Venezuela. A causa di discordie tra la Kriegsmarine (che si fece carico del 70% del finanziamento) e la Wehrmacht, l’impiego delle cinque unità prodotte fu molto limitato, riducendole ad un’artiglieria semovente. Per parte sua, non appena Revil fu informato delle caratteristiche delle unità, ne ordinò l’immediato abbattimento. A tale proposito, il celebre Generale ha scritto: “Tutti danno la colpa a Dozul Zabi […] ma si sbagliano. Il vero colpevole fu Schreiber, il comandante in capo della Marina, un protetto di Mahkuwe, nemico giurato dello stesso Dozul. […] I Fafnir avrebbero potuto cambiare le sorti della battaglia del Venezuela – e, con quella, di tutta la guerra. Sfruttandone la potenza di fuoco e l’elevata mobilità, Dozul avrebbe voluto impiegarli per attacchi violenti, costringendoci a continui riposizionamenti delle nostre corazzate – le uniche unità a nostra disposizione che potessero competere con i Fafnir. L’avessimo fatto, avremmo anche allungato inevitabilmente le linee di rifornimento con i battaglioni di MS, riducendone la capacità di combattimento… per nostra fortuna. Fortunatamente, Delatz era impegnato altrove.” Sturmpanzer 02 – Alberich
Il modello Alberich rappresenta un’evoluzione dell’originale Fafnir: in effetti, come hanno scritto molti suoi piloti, l’unica reale differenza consisteva nel committente, la Luftwaffe. Quest’ultima, in effetti, era rimasta per così dire “tagliata fuori” dallo sviluppo della guerra, riducendosi al semplice ruolo di trasferimento delle unità, ed al loro supporto aereo. Il comandante dell’aviazione, Brenno Sehemann, ritenne che gli Sturmpanzer potessero rappresentare una carta vincente per l’armata dell’aria. In realtà, anche questo non fece altro che complicare le cose: quando esercito e marina scoprirono della commissione della Luftwaffe, questo scatenò le invidie delle prime due armi. Alla fine, la cosa divenne tanto spinosa da giungere all’attenzione del Führer Gihren Zabi: la sorella Cecilia decise di sfruttare l’occasione, ed ottenne che tutti gli Sturmpanzer fossero assegnati alle SS. La cosa ottenne l’avallo di Gihern, senza per altro troppa fatica. Come scrive il generale Revil, “la cosa si fece sentire soprattutto durante l’assedio di Odessa […]. L’intelligenza tattica di Cecilia e l’impiego razionale dei Fafnir e degli Alberich consentì al nemico di prolungare la resistenza ben oltre le nostre aspettative.”
Sturmpanzer 03 “Neues Ziel” Il Neues Ziel è l’ultimo Sturmpanzer prodotto durante la guerra. Pensato per un impiego esclusivamente in ambiente spaziale, rappresenta un radicale punto di rottura rispetto ai modelli precedenti. Oltre a tre cannoni a megaparticelle, esso integra anche una serie di armi a raggi che, correttamente impiegate, creano intorno al veicolo una vera e propria “rete”: questo, oltre alla notevolissima mobilità, ed alla presenza di un rivoluzionario abitacolo a 360°, rende merito della clamorosa efficacia dimostrata dal NZ nel corso della battaglia finale di Salomon. Probabilmente, come scrivono molti, il Reich commise l’errore, madornale, di non credere pienamente nel progetto NZ a vantaggio dell’SP07: la sola unità operativa, affidata a Von Deikun, riuscì ad abbattere ben sette corazzate federali, praticamente senza supporto. Logico chiedersi cosa sarebbe riuscito a compiere un intero battaglione di simili modelli.
Passiamo ai mobile suit federali. E cominciamo con il più celebre di tutti: ovvero…
RX78 “Gundam” (ed RX178 Gundam Mark II) Seconda e più critica parte del cosiddetto “progetto V”, il Gundam “nasce” nel 1978 (da qui il codice della sigla: non esiste, a conti fatti, un RX77), quando le sonde Viking trasmettono alcune immagini da Marte (ovviamente censurate) mostranti quelli che si riveleranno i primi SP02 “Siegmund”, ed SP03 “Ferdinand”.
Il progetto, inizialmente finanziato dai governi statunitense e canadese, si rivelò fallimentare fino al 1985: in quell’anno, il governo nipponico decise di entrare nella joint venture, facendosene carico in prima persona, e quindi commissionandone lo sviluppo ad un pool di sviluppo composto dai laboratori di ricerca di Toyota e Honda.
Coordinatore del progetto, a partire dal 2002 fu il prof. Seisouke Kozumi (n. 1970): il suo primo atto fu decidere la completa riprogettazione dell’RX78. Per questo motivo, il codice progressivo ufficiale del progetto venne modificato a RX78b (anche se quasi nessuno l’ha mai impiegato).
Anche se Kozumi viene considerato il padre dell’RX78, il suo successo fu secondario a quelli dei team di sviluppo di Sheffield ed Alberta. Il primo portò a termine lo sviluppo della particolarissima lega metallica, impiegata sia nella corazza che nello chassis (il gundario); il secondo rese disponibile un reattore di tipo Minovsky di piccole dimensioni, utilizzabile anche all’interno del nascente Gundam.
Il principale merito di Kozumi, spartito con il professor Kahn della Colombia University, è però la progettazione del primo microprocessore positronico – così detto in onore delle unità di calcolo preconizzate da Isaac Asimov, e che in realtà non funziona assolutamente a positroni. La collaborazione fra Kozumi e Kahn portò, infine, alla progettazione di rivoluzionarie nanomacchine, in grado di creare un’interfaccia fra pilota e computer all’interno della neocorteccia umana. Questa particolare interfaccia neurale trasformò il “peggior sistema di controllo mai progettato” nel più efficace, capovolgendo le sorti della guerra: al di là dell’impatto bellico, si trattò di una soluzione tanto rivoluzionaria, e dai risvolti medici tanto eccezionali, da portare i due professori al premio Nobel per la medicina del 2020.
Dal punto di vista bellico, l’RX78b si rivelò un ottimo progetto sin dall’inizio. Blindato in ogni composto, progettato con una struttura modulare (che ne esaltava la mobilità, e che rendeva più agevole qualsiasi procedura di manutenzione), il Gundam era di due generazioni più avanzato rispetto a qualsiasi MS fino ad allora progettato dal Reich. A ciò andava aggiunto il particolare armamento, nettamente superiore a quello in dotazione ai Null Vier ed ai successivi SP05, SP06 ed SP07.
Durante lo studio del reattore, infatti, il cosiddetto “team di Alberta” aveva scoperto (in collaborazione con il CERN di Ginevra, che però rinnegò la propria responsabilità) la possibilità di canalizzare un flusso di particolari particelle “prodotto di scarto” della reazione di fusione (le cosiddette “megaparticelle”), in un vero e proprio fascio, controllabile tramite il medesimo campo elettromagnetico utilizzato per regolare la reazione di fusione nucleare. Grazie a questa scoperta, furono realizzate sia le armi da fuoco a megaparticelle sia la cosiddetta “beam saber”, molto più efficace delle normali armi termiche in dotazione ai modelli del Reich.
Ciò detto, i piloti federali “adoravano” l’RX78, e per svariate ragioni. Prima di tutto, per chi ricevesse un trattamento con nanomacchine, non esisteva letteralmente la necessità di un vero e proprio addestramento: questo si focalizzava piuttosto sulle tecniche di combattimento che sul sistema di controllo, e rende merito della straordinaria efficacia dei piloti federali nell’ultima fase della guerra. Purtroppo, nonostante le iniziali speranze di Kozumi, il “siero del supersoldato” (come presto fu soprannominato il trattamento con nanomacchine) era in grado di determinare una sincronizzazione efficace solo in una ridotta frazione dei soggetti papabili, e solo se eseguito prima che la maturazione delle sinapsi neuronali giungesse a termine (in linea di massima, prima dei 22 anni di età). Per questo motivo, anche nel corso dell’ultima battaglia di Salomone, in cui la Federazione “raschiò il fondo del proprio barile” non furono schierabili simultaneamente più di seicento MS, grossomodo gli stessi a disposizione del Reich.
Altro aspetto che determinava l’apprezzamento dei piloti federali era rappresentato dalla solidissima blindatura dell’abitacolo: per penetrarlo, con conseguente rischio per il pilota, era necessario un colpo d’impatto ad altissima potenza ed estremamente ravvicinato. La grande tutela dei piloti si rivelò decisiva proprio nell’ultima fase della guerra, quando a fare la differenza furono piuttosto il gran numero di ottimi e provati piloti della federazione contro i motivatissimi, ma in gran parte inesperti soldati del Reich. Complice il successo dell’RX78, il progetto di back-up (l’RX-178) fu introdotto soltanto pochi mesi prima della battaglia di Salomon: troppo tardi perché il “replacement” fosse completato prima dello scontro finale. Revil, conscio dell’importanza del nuovo modello, ordinò che le unità disponibili (circa 60) fossero assegnate al 1° Battaglione MS, la cui punta di diamante era costituta dall’Avalon e dalla sua squadriglia d’assalto, capitanata da Amuro Rey. Il Gundam Mark II non rappresentava tuttavia una reale rivoluzione, presentando piuttosto un’estremizzazione del progetto originale, con potenziamento di tutti i sistemi e rafforzamento della corazza. Anche il cervello positronico, retrocompatibile con i precedenti programmi e con i “record” raccolti dai piloti, presentava netti miglioramenti, ed una più efficace sincronizzazione con le nanomacchine. Alcuni ritengono che proprio queste superiori prestazioni resero possibile il particolare “transfert” lamentato da Amuro Rey nel corso della battaglia di Salomon. Una curiosità. Il nome Gundam fu scelto proprio da Kozumi poco prima del forzato roll-out. Così come il design della testa, caratterizzato da un diadema a forma di V di natura pressoché solo estetica, fu imposto dallo stesso professore. Perché? Il geniale professore, in gioventù, era stato fan sfegatatissimo di un cartone animato giapponese del tempo, “mobile suit Gundam”…
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