V
Il Sottotenente Pilota Ryu José aveva a malapena vent'anni. Nonostante la sua giovane età, era stato impegnato nella guerra con Zeon fin dal primo giorno, in parte a causa dei suoi brevetti da pilota civile, ma soprattutto a causa delle sue origini spazianoidi. Nei primi mesi del conflitto, l'esercito Federale aveva impiegato quasi esclusivamente truppe nate e cresciute nello spazio. Alle accuse di razzismo, le alte sfere delle Forze Federali avevano risposto che era più logico usare gente abituata all'ambiente spaziale, visto che quella guerra era sicuramente destinata a compiersi interamente nella Sfera Terrestre ma mai sarebbe arrivata sul pianeta madre. All'indomani dello sbarco delle forze del Principato sulla Terra, visto che la dominante di coloni spaziali tra le fila federali non accennava a scemare, il Gran Consiglio aveva scelto un agnello sacrificale da dare in pasto ai media per mettere a tacere quello che ormai era sotto gli occhi di tutti. Fu così che Ryu si trovò ad operare di scorta ad un rappresentante dell'elite terrestre quale il Generale di Corpo d'Armata Abraham Revil. Ufficiale caparbio e scaltro, Revil era inviso ai suoi superiori per le sue capacità militari ben documentate in numerosi conflitti interni e, soprattutto, per la sua innata capacità di farsi apprezzare dai sottoposti. Uno come Revil, finito il conflitto, sarebbe potuto entrare in politica contando su un impressionante zoccolo duro di elettori attivi, visto che solo chi aveva prestato servizio militare aveva diritto di voto e, da che mondo e mondo, i soldati semplici erano assai più dei generali.
Mandarlo a morire in mezzo alle truppe di feccia spazianoide che tanto amava sembrava una mossa politica assai ponderata: avrebbe fornito un martire, un martire Terrestre nel mucchio di martiri coloniali, e liberato una poltrona da un sedere diventato troppo scomodo. Purtroppo Zeon non aveva ucciso Revil, lo aveva semplicemente preso in ostaggio e, peggio ancora, gli aveva fornito la possibilità di fuggire e parlare ai suoi uomini. Il suo discorso ribattezzato “Non ci sono soldati nel principato di Zeon” lo aveva reso l'eroe che il Governo Federale non avrebbe mai voluto, e incendiato gli animi dei soldati da prima linea come Ryu, accentuandone il disappunto verso l'elite Terrestre che nulla aveva fatto per salvare il comandante supremo del suo stesso esercito.
Per questo Ryu era diventato un feroce combattente, ma anche un contestatore parimenti feroce. La sua abitudine di parlare troppo schiettamente alle persone sbagliate gli aveva causato l'impiego in una base sperduta su Side 7 condannandolo, a dispetto dei suoi brevetti e delle sue abilità, a fare da reclutatore di altri spazianoidi come lui. Dover constatare giorno dopo giorno la ritrosìa dei civili ad impegnarsi in un conflitto che aveva ormai travalicato le sue connotazioni politiche per diventare una vera e propria guerra civile, era per un militare fiero come lui uno stillicidio. Quotidianamente incontrava persone come Kai Shiden che, pur consapevoli della posta in gioco, esigevano vigliaccamente che fosse qualcun altro a fare il lavoro “sporco”. Ryu percepiva questo modo di agire come profondamente ingiusto, di certo non molto migliore di quello dell'Elite che mandava al macello i cittadini coloniali. Se un certo razzismo tra Terrestri e Spazionoidi, quantunque ingiusto, non era certo una sorpresa, il razzismo tra spazionoidi era qualcosa di semplicemente folle. Perché anche su Side 7 c'era chi contestava la EFSF per non aver ancora sbaragliato Zeon, salvo poi negare il proprio apporto per aiutare ad ottenere quel risultato. L'indifferenza alla guerra, data la situazione, sarebbe stata un atteggiamento di gran lunga più rispettabile.
Poi, ogni tanto saltava fuori qualche sorpresa, come la ragazza orientale che s'era offerta come pilota volontaria quella mattina, al centro di reclutamento. E adesso quel giovane di cui aveva sentito, quello che era salito su quel prototipo e aveva fatto a pezzi uno Zaku, mettendosi nei guai.
Quando Ryu aveva imprigionato Kai dentro ad un Guncannon in manutenzione, non aveva ancora ben chiaro l'uso che ne avrebbe fatto... ma adesso, vedendo la situazione coi suoi occhi e non attraverso i monitor, gli venne un'idea.
Lo Zaku si stagliava proprio di fronte alla saracinesca che separava l'hangar in cui era ormeggiata la White Base dall'interno di Side 7, dandole le spalle. Il Mobile Suit di Zeon teneva sotto tiro il prezioso prototipo federale che era apparentemente disarmato.
“Aprite la saracinesca di servizio ed il portello della catapulta di sinistra!”, ordinò al Sergente Omur, che stavolta eseguì senza fiatare.
Ryu guardò il Guncannon come se potesse vedere Kai Shiden, al suo interno. Non sapeva praticamente nulla di Kai, se non che era un pilota militare brevettato e che non voleva saperne nulla di farsi coinvolgere nella guerra. Una volta liberato, sarebbe di certo scappato. Nel farlo, forse, avrebbe fornito al Gundam il diversivo che serviva.
“Puntate la catapulta in direzione dello Zaku e preparate il Guncannon per il lancio!”, ordinò ancora.
“Lanciarlo direttamente contro lo Zaku? Ma non sono nemmeno cento metri! Si schianterà sull'altro come una boccia da bowling!”, trasalì stavolta il tecnico.
Ryu calò pesantemente una mano sulla spalla di Omur.
“Esatto. Fammi vedere un bello strike!”, sorrise Ryu.
Omur, perplesso, prese il suo commlink e comunicò i dati per la correzione dell'angolo di lancio, guardandosi bene dall'indicarne la motivazione.
Tre secondi dopo, il Guncannon rosso era sulla catapulta, e le luci nell'hangar passarono dal rosso al verde.
“Bright, maledizione, chiami i rinforzi!”, gridò Tem Ray al giovane ufficiale che ancora osservava, rigido come fosse in trance, lo stand-off tra lo Zaku di Denim e il Gundam.
L'ingegnere infine lo afferrò con entrambe le mani e lo scosse.
“Bright, per l'amor del cielo, usi quel maledetto commlink! C'é mio figlio, là dentro!”
Bright si scosse dal suo torpore. Guardò il ricetrasmettitore che teneva, quasi inconsapevolmente in mano.
Il professor Ray glielo strappò e fece per attivarlo da solo, ma, sorprendentemente, l'oggetto si animò prima che potesse usarlo. Una chiamata in arrivo.
“A chiunque sia in ascolto al North Space Gate, qui Eliambulanza Gunperry in hovering sul centro di reclutamento federale”, disse una voce femminile.
Bright strappò di mano a sua volta il comunicatore a Ray, mentre cercava con lo sguardo l'aeromobile. Lo trovò esattamente dove gli era stato riferito che si trovava.
“Gunperry, parla il Sottotenente Noah Bright delle Forze Federali, identificatevi e dichiarate le vostre intenzioni”, sbottò.
“Da Gunperry, abbiamo l'Alpha Leader a bordo e stiamo recuperando i superstiti del Bravo Team, le cariche sono armate ed in countdown, ripeto cariche armate ed in countdown, stimato per il brillamento: due primi”, replicò la donna, senza identificarsi.
“Ce l'hanno fatta!”, si fece sfuggire Bright con un sorriso.
“No!”, urlò Tem Ray, “no!”
Prima che Bright potesse fare qualunque cosa, l'ingegnere era saltato su una delle jeep elettriche superstiti ed era partito a tutto gas dirigendosi a valle. No, dovette ricredersi il giovane militare, Tem Ray non aveva a cuore altro che le sue macchine e la richiesta di salvare il figlio rinchiuso dentro una di esse era solo una scusa per garantire anche la salvezza del prototipo, rifletté.
Il sinistro sibilo prodotto dal braccio dello Zaku di Denim che alzava il fucile puntandolo verso il Gundam richiamò la sua attenzione mentre alle sue spalle, oltre la saracinesca di servizio che portava allo spazioporto, uno dei portelli anteriori della White Base iniziò ad aprirsi...
Nell’abitacolo la temperatura s'era abbassata di parecchio a causa del potente sistema di condizionamento che doveva garantire un idoneo microclima per il funzionamento delle numerose apparecchiature piuttosto che per il comfort del pilota. Nonostante ciò, Amuro sentiva il sudore colargli lungo la schiena.
Continuava a premere ossessivamente il tasto in corrispondenza del suo pollice sulla cloche di sinistra, ma tutto ciò che otteneva era un sibilo sintetico e un laconico messaggio su schermo che recitava “Vulcan: No Ammo”.
Su quello stesso schermo, parzialmente celato dal messaggio in sovrimpressione, il secondo Zaku lo teneva sotto tiro col suo gigantesco fucile mitragliatore.
Amuro iniziò a maledire la sua malsana idea di impadronirsi del Gundam. Quella macchina era troppo diversa dal Guncannon, dove erano le altre armi? Il vecchio tipo 77 sceglieva autonomamente se fosse più conveniente far fuoco coi Vulcan piuttosto che coi potenti obici o i lanciarazzi montati sulle spalle, a seconda del tipo di bersaglio, della sua distanza, della disponibilità di munizioni... e offriva di volta in volta al pilota un'alternativa. Questo nuovo modello, apparentemente, non aveva altre armi incorporate che non fossero quei due miseri cannoncini sulle tempie... come poteva suo padre dire che quel Suit fosse addirittura la chiave per la vittoria contro Zeon? Era folle!
Lo Zaku fece un ulteriore passo in avanti. L'istinto di autoconservazione di Amuro lo portò a riprendere il controllo di sé. Sicuramente c'era una ricetrasmittente, nel cockpit, poteva cercare di chiedere aiuto! Era pur sempre a bordo di un importantissimo prototipo... suo padre, i federali, qualcuno avrebbe senz'altro cercato d'aiutarlo!
Attivò la ricetrasmittente laser e la puntò alle spalle dello Zaku, in direzione della saracinesca dello spazioporto. Solo a quel punto s'accorse che, dietro il North Gate, uno dei due hangar frontali della gigantesca astronave ormeggiata all'interno era appena stato aperto completamente.
La ricetrasmittente agganciò un segnale ed emise un “bip”.
Amuro, di scatto, agì sul guadagno e sul volume. Uno strano sibilo fuoriuscì dagli altoparlanti. No, non era un sibilo: sembrava piuttosto l'urlo baritonale e disperato di un adulto che piangeva. Riconobbe la voce di un altro suo vicino di casa: Kai Shiden.
Amuro riportò lo sguardo dalla ricetrasmittente al monitor principale:
Un gigantesco proiettile di colore rosso vivo fu sparato da dentro l'hangar della White Base, dritto alle spalle dello Zaku, investendolo in pieno e proiettandolo a sua volta contro il Gundam.
L'urto spense il monitor principale facendo piombare il cockpit in una parziale oscurità, ma questo non impedì al giovane pilota improvvisato di capire cosa era successo.
Nonostante l'abitacolo fosse assicurato al resto della cellula tramite giunti ammortizzatori e resilienti smorzatori, Amuro avvertì distintamente la drammatica accelerazione causata dall'impatto. Un fiotto di saliva gli sfuggì dalla bocca mentre la vista s'offuscava. Combatté con sé stesso per non perdere i sensi.
Poi, notò che Haro non era più sulle ginocchia, ma galleggiava a mezz'aria.
“Sono stato proiettato al centro della colonia!”, pensò, poi guardò meglio.
Haro non galleggiava... stava lentamente portandosi sul soffitto dell'abitacolo. Troppo, troppo lentamente. E allora il giovane capì. Non era solo assenza di gravità... la forza G stava venendo lentamente ma inesorabilmente sostituita da una costante accelerazione lineare.
Stava precipitando, dal centro della colonia verso la superficie. Un volo di quasi duemila metri diretto verso una superficie rotante...
L'ingegnere Tem Ray era stato ufficiale del Genio della EFGF, la Fanteria della Federazione Terrestre, prima di accettare il lavoro alla Anaheim. Nei suoi anni di gioventù aveva preso parte a diversi conflitti intestini all'Unione, alcuni risolti nello spazio di pochi giorni, altri entro alcune settimane. Mai e poi mai si sarebbe aspettato che in piena Era Spaziale, anzi addirittura già entro il primo secolo in cui essa era stata inaugurata, si potesse scatenare una guerra propriamente detta e così lunga. Otto mesi. Dopotutto, la prima cosa che aveva imparato nei suoi anni di servizio militare era che l'uomo, per quanto intelligente e avanzato, era e restava un animale. E gli animali combattono tra loro per la conquista dei territori. Non é crudeltà, é Natura.
L'altra cosa che si imparava subito nella EFGF era come guidare una jeep nel bel mezzo d'una battaglia. In realtà l'auto in questione non era affatto una vera Jeep, bensì un fuoristrada a propulsione elettrica prodotto dalla Toshiba, sebbene la differenza in termini pratici fosse poca.
Ma la lezione più utile e importante in quel determinato frangente, Tem l'aveva imparata una volta entrato negli stabilimenti della Anaheim Electronics a Von Braun City, sulla Luna. Durante la sua prima settimana, uno dei rail gun elettromagnetici con cui la ditta lanciava i carichi di merci verso la Terra si era disallineato al punto da colpire con uno dei container inviati la torre principale della sede della ditta, decapitandola di quattro dei suoi sette piani. Tem, che si trovava nel livello più basso della zona colpita, quel giorno era rientrato in fretta e furia dopo una, a suo parere, insoddisfacente visita alle catene di montaggio della prima batch di produzione del Guntank. Talmente di fretta era, che si era presentato negli uffici con ancora la Normal Suit indossata.
Tutti i colletti bianchi presenti nell'edificio lo avevano visto e deriso. Qualcuno si era perfino ritratto al suo passaggio, temendo che quella sudicia tuta spaziale potesse in qualche modo rovinare il suo costosissimo completo della Armani di Side 6.
Quei colletti bianchi erano tutti morti, risucchiati nel vuoto dopo che la torre Anaheim era stata colpita da un container contenente un carico di seimila toilette chimiche destinate agli spazioplani di Hong Kong City. Tem Ray era sopravvissuto, infilandosi prontamente il casco spaziale. Da allora, indossava sempre una Normal Suit, quando lavorava lontano dalla Terra.
Per questo, approfittando del cruise control del suo veicolo e concentrandosi solo sul volante e le sterzate, Tem era riuscito al contempo ad indossare sulla tuta spaziale che già lo fasciava i serbatoi d'ossigeno di emergenza, il vernier personale e adesso stava allacciandosi il casco. Meglio essere pronti al peggio, in questi casi. Ma mai si sarebbe aspettato che quel “peggio” lo avrebbe sorvolato per la terza volta, quel giorno.
Per quanto la sua auto corresse diretta a valle verso i due rimorchi coi prototipi rimanenti, un'ombra lo raggiunse e superò, rubando tutta in un colpo la concentrazione che egli aveva finora sapientemente distribuito tra guida e vestizione, facendolo uscire di strada.
Il veicolo elettrico si fermò sobbalzando entro pochi metri dal ciglio dell'asfalto, con una breve derapata e uno stridìo di pneumatici. Tem Ray si alzò in piedi sul sedile per vedere meglio.
Quel che era caduto dal cielo appena cinquecento metri più avanti, esattamente a metà strada tra i due prototipi, era un groviglio di gambe e braccia meccaniche di dimensioni titaniche.
Poi, avvenne la prima esplosione. Tem vide il rimorchio più lontano, alla sua destra, esplodere sollevando una colonna di fuoco alta venti metri.
“No!”, gridò il tecnico, troppo tardi.
La seconda esplosione tardò di appena due secondi. Vide il bagliore vicino, alla sua sinistra. L'onda d'urto fece tremare tutto Side 7, catapultando l'ingegnere al suolo, fuori dall'auto.
Tem Ray si rimise faticosamente in piedi e, prima di vedere, sentì. Riconobbe dal suono i movimenti della sua creatura, il solo figlio di cui andasse veramente fiero.
Al centro delle due colonne di fumo e fiamme, il Gundam si era divincolato dall'abbraccio dello Zaku e di un Guncannon verniciato interamente di rosso. Tem sorrise compiaciuto per l'ennesima dimostrazione di forza della sua creazione. Ma fu solo un attimo.
Lo Zaku riprese a muoversi e, sebbene ancora al suolo, afferrò il Mobile Suit bianco per una gamba.
Il prototipo federale reagì come fosse animato di vita propria, voltò la testa verso il Suit nemico come avrebbe fatto un essere umano in una rissa di strada, sebbene -pensò Tem- gli oltre duecento sensori sparsi su tutto il corpo permettessero alla macchina di vedere in ogni direzione senza necessariamente muovere il capo. Poi, il Gundam portò la mano sinistra ad una delle due appendici cilindriche che fuoriuscivano dalle sue spalle, mentre con la mano destra afferrò la testa dello Zaku spingendola da parte e costringendolo a esporre il torace.
Tem realizzò quello che stava per succedere, impallidì all'istante, si lanciò sull'auto e afferrò un commlink portatile, orientandone il laser verso il suo adorato prototipo. Verso il suo capolavoro. Verso la macchina meravigliosa che, a meno che non avesse agito per tempo, avrebbe certamente causato la sua dipartita.
“Non mi piace per niente!”, si lasciò sfuggire Char osservando la scena dall'alto dello spuntone di roccia ricavato davanti al portello di servizio interno del South Space Gate.
Il suo binocolo elettronico era dotato di uno zoom digitale con un potente software di ricostruzione dell'immagine integrato, basato sulla natura degli oggetti circostanti. Poteva ricostruire con buona approssimazione l'aspetto di oggetti lontanissimi, magari composti di pochi pixel, a partire da quello che era più logico che essi fossero. Grazie ad esso, Char era riuscito ad inquadrare i due minuscoli proiettori al laser fuoriusciti dal ventre del Gunperry. Lo scopo di quegli strumenti era normalmente inviare e ricevere segnali di soccorso in ambienti il cui la densità delle particelle Minovsky non consentisse l'utilizzo delle onde elettromagnetiche ma, come Char sapeva bene, il segnale da essi trasmesso era programmabile. E il fatto che l'aeromobile indugiasse nelle vicinanze di ciò che restava dei due trailer che trasportavano i prototipi, piuttosto che virare verso lo spazioporto nord e la salvezza, poteva avere solo due spiegazioni: o da quelle parti c'erano ancora dei sopravvissuti, oppure era possibile comandare a distanza gli ordigni che lui stesso aveva visto sui rimorchi. La prima ipotesi non lo disturbava più di tanto... la seconda rischiava di mandare a monte quella che poteva rivelarsi l'operazione militare più importante compiuta dal Principato fino a quel momento, perfino più di Loum. Non poteva permettersi di perdere quell'occasione così ghiotta e così inaspettata. Si voltò verso lo Zaku di Slander, che lo sovrastava in posizione di tiro e poggiò una mano sul suo scafo per attivare l'interfono a sfioramento.
“Slander, hai una soluzione di tiro su quell'aviotrasporto federale?”, chiese. Non sarebbe stato possibile immaginare altrimenti, ma la Cometa Rossa aveva avuto già fin troppe spiacevoli sorprese circa l'effettiva preparazione dei suoi uomini, quel giorno.
“Affermativo, Comandante”, rispose esaltato Slander.
“Grazie al cielo!”, pensò Char, ma disse piuttosto: “Abbattilo!”
“Signore!”, fu la sola risposta di Slander. Nessun colpo. Char ci mise un po' a capire che quel “signore!” non era un assenso all'ordine impartito, ma un goffo tentativo del giovane sottufficiale per richiamare la sua attenzione. Si voltò.
Qualcosa aveva investito sia lo Zaku di Denim che il Mobile Suit bianco, spingendoli oltre il dirupo. Char seguì esterrefatto la lenta parabola dovuta all'iniziale riduzione della velocità, seguita dalla sempre più veloce discesa in verticale. Vide i vernier montati lungo il corpo del prototipo federale lanciare brevi vampate di gas surriscaldati, nel tentativo di correggere la traiettoria.
“Non ce la farà mai”, pensò Char. Ristabilì il contatto con Slander.
“Lancia il segnale di ritirata, dobbiamo uscire di qui prima che...”
Un'esplosione lo interruppe. Poi, un'altra poco più in là. Due alte colonne di fiamme si innalzarono verso il centro della colonia, producendo strani giochi di fumo e luci.
“...prima che la colonia collassi!”, finì Char.