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Autore Topic: SUIT YOU UP! [romanzo breve/remake]  (Letto 31157 volte)
erioats
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« Risposta #30 il: 04 Aprile 2012, 22:19:37 »

si era capito smile volevo tenerti sveglio ... smile
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erioats
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« Risposta #31 il: 09 Maggio 2012, 21:48:01 »

up!!!
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Bhirgt
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« Risposta #32 il: 26 Giugno 2012, 00:57:32 »

A grande richiesta, e con sensibile ritardo:

                  III



Amuro uscì di casa appena dopo i primi spari. Nonostante i pochi secondi trascorsi, la scena che gli si presentò davanti era apocalittica. In vari punti delle zone residenziali di Side 7 già s'innalzavano  colonne di fumo nero che seguivano il senso di rotazione dell'immenso cilindro raggiungendo il centro della colonia dove la forza di gravità era assente, disegnando strani ghirigori che impedivano di vedere gli altri settori abitati. L'allarme generale suonò, seppure coperto da spari ed esplosioni. Una voce agli altoparlanti ripeteva:
“Allarme Generale! La Colonia é sotto attacco! Tutti i civili raggiungano il rifugio più vicino, questa non é un'esercitazione!”
Amuro gettò Haro sul sedile posteriore dell'auto, saltò a bordo, mise in moto e si diresse verso il Centro di Reclutamento.

“Siamo al completo, qui!”, sancì perentoria una voce all'interfono. Il nonno materno di Fraw si voltò verso sua figlia e sua nipote e cercò di nascondere il suo terrore.
“C'é un altro rifugio a trecento metri da qui, dobbiamo raggiungerlo, é un po' fuori mano quindi ci sono buone possibilità che ci sia ancora posto!”, disse, prendendo fermamente per un braccio sia Fraw che sua madre e trascinandole via con forza nonostante i suoi ottant'anni.
Fraw si voltò verso la battaglia. Nonostante essa si svolgesse ad oltre due chilometri da lì, la geografia di Side 7 non nascondeva nulla. La giovane vide gli elicotteri d'attacco della Federazione spazzati via dalle raffiche di uno dei due Zaku, mentre un altro identico sembrava, paradossalmente, cercare di fermare il compagno ed al contempo proteggerlo dal contrattacco.
Vide i colpi meno accurati di ambo le parti centrare gli edifici e sbriciolarli in una pioggia di calcinacci che cadeva sulle strade gremite di gente in fuga.
Vide un tank federale, spuntato da chissà dove, sparare contro uno degli Zaku ma mancarlo clamorosamente centrando un elicottero alleato che, dopo una breve autorotazione, piombò sulla folla.
Man mano che si avvicinavano al prossimo rifugio, i corpi al suolo si facevano più numerosi.
Una bambina di non più di quattro anni con i capelli biondi raccolti in due code piangeva in ginocchio sul corpo esanime della madre, la cui testa era stata schiacciata da uno dei giganteschi bossoli dei fucili degli Zaku.
“Questa non é una battaglia”, disse Fraw divincolandosi dal nonno e raggiungendo di corsa la povera bambina, “é un massacro!”
In quel momento vide Amuro sfrecciarle davanti e gridò il suo nome più forte che poté. Più forte delle esplosioni tutt'attorno, più forte del pianto della bambina che non voleva saperne di lasciare il corpo della madre, più forte della disperazione che aveva riempito l'aria di Side 7.
Amuro frenò sgommando e la guardò fissa. Fraw sorrise tra le lacrime, poi lesse l'espressione terrorizzata sul volto del suo amico... il suo sguardo che andava oltre le spalle di lei. Si voltò.
Un colpo vagante era caduto a dieci metri di distanza, esattamente là dove lei si trovava poco prima di andare a soccorrere la piccola... esattamente dove ancora si trovavano sua madre e suo nonno, di cui adesso rimanevano solo i cadaveri straziati.

I tre giganteschi camion telonati percorrevano a tutta velocità la ripida striscia d’asfalto che correva dall’ex impianto della Anaheim  alla base dello spazioporto Nord di Side 7. Purtroppo, viste le dimensioni dei mezzi ed il peso del loro carico, l’andatura più celere che ci si poteva aspettare erano trenta miseri chilometri l’ora, su una strada piana. La tangenziale di carico della colonia, per contro, aveva una pendenza di oltre il venti per cento.
Tem Ray, in piedi su una delle piattaforme dello spazioporto che davano sull’interno del Side, osservò la scena attraverso un binocolo digitale: i tre veicoli da trasporto arrancavano su per il pendio, due chilometri più giù. Una manciata mezzi federali, fuoriusciti dalla finta installazione industriale, coprivano loro la fuga cercando di impedire ai due Zaku di saltare abbastanza in lungo da  raggiungerli. Nonostante questo, la distanza tra i mezzi Zeoniani e i prototipi si accorciava di istante in istante.
“Non ce la faranno mai”, sospirò Bright scuotendo la testa.
La rassegnazione del giovane ufficiale stizzì l’ingegnere, che gli porse il binocolo in malo modo.
“L’ufficiale è lei, Bright, mi aspetto che faccia in modo di recuperarli, prima che finiscano nelle mani di Zeon!”
Bright guardò sconsolato attraverso il dispositivo. Si rese subito conto che i suoi sei mesi di servizio sulle fregate classe Salamis non gli sarebbero stati utili, in questo caso.
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Bhirgt
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« Risposta #33 il: 26 Giugno 2012, 00:58:32 »

“La prego, Maggiore, non è davvero necessario che ci vada di persona”, insistette Dren dal monitor.
Char lo ignorò e avvitò con cura la doppia guarnizione sul collo della sua Normal Suit. Il suo casco spaziale era stato modificato per poter  essere indossato sul suo visore speciale. Non aveva dovuto chiedere in prima persona questa particolare modifica, parecchi tra le fila di Zeon erano convinti che, senza quella maschera ipertecnologica, la Cometa Rossa fosse ormai completamente cieca. Molti, anzi, imputavano a quella particolare protesi cibernetica le sue mirabolanti capacità nel pilotaggio di Mobile Suits. Per quanto questa teoria fosse assurda, era ben difficile anche il solo far notare a molti pseudo-assi di Zeon che le sue prime e più sconvolgenti vittorie Char le aveva ottenute quando ancora non indossava alcuna maschera.
Il team d’incursori era stato assemblato in fretta e furia, visto che gli equipaggi d’assalto delle classi Musai erano normalmente composti dai soliti Mobile Suit, data la scarsa importanza riconosciuta alle missioni d’infiltrazione individuale  dall’ avvento di questi mezzi. Char non era per nulla d’ accordo con questa tesi e i fatti gli stavano dando ragione, dopotutto il suo intervento non era un tentativo di porre rimedio ad un’incursione di Suit andata male? Per questo motivo, il Maggiore Aznable oltre che come pilota si era brevettato come incursore, un’abilitazione ormai desueta ma che gli aveva fornito il diritto d’indossare la tenuta di colore rosso tipica delle forze speciali, quello stesso rosso che poi aveva tanto caratterizzato la sua fama al punto da voler dipingere nella stessa tonalità il suo Suit personale, in barba al buonsenso che avrebbe piuttosto consigliato una colorazione a bassa osservabilità.
Già, il rosso!
Char passò in rassegna i tre uomini che componevano la sua squadra e constatò il triste e poco confortante colore verde tipico delle normal suit standard per il personale privo di abilitazioni specialistiche. Non poteva certo lamentarsi, dopo otto mesi di guerra gli specialisti erano merce rara e assolutamente non sacrificabile. Tuttavia, avrebbe di certo gradito un po’ di rosso in più tra le sue fila…
“Abbiamo un sentiero laser su cui agganciarci?”, domandò quindi a Dren attraverso il monitor.
“ Sì, Maggiore. Slander è rimasto fuori dalla colonia e sta illuminandoci col telemetro del suo suit”, rispose laconico il corpulento tenente.
“Bene”, rispose secco Char mentre si abbassava la visiera del caso. Si voltò verso il più anziano dei suoi uomini, il sergente Cozun, e gli fece cenno di entrare nella camera di decompressione.


“Kikka, dammi le mani!”, disse Amuro alla bimba bionda che Fraw teneva fra le braccia.
Si stavano arrampicando lungo il pendio nord di Side 7 da oltre dieci minuti, ma erano solo all’inizio della scalata. Una scalata ripida, faticosa, da tentare solo in caso di emergenza qualora le rampe d’ accesso al North Space Gate non fossero accessibili.
Ovviamente, non lo erano.
Amuro poteva vedere la battaglia che infuriava cento metri più in basso, ma anche Fraw che, riavutasi dallo shock, ora si concentrava sulla bambina che aveva salvato e che l’aveva salvata, non pensando più allo spettacolo crudele della morte dei suoi parenti.
“Sei sempre stata una ragazza forte”, gli aveva detto Amuro mentre cercava di aiutarla a riprendersi. Adesso la guardava: i vestiti sporchi e strappati, il viso lordato da lacrime e polvere, Fraw a differenza sua non si voltava mai indietro. Guardava avanti e in alto, verso lo spazioporto. Le porse una mano per aiutarla a salire.
“Non capisco”, domandò lei. Era la prima frase di senso compiuto che la sua amica pronunciava dalla tragedia, quindi Amuro la guardò con attenzione ben maggiore di quanto facesse di solito quando lei gli faceva una domanda.
“Se questi Mobile Suit di Zeon sono apparsi proprio oggi che è arrivata la nave di tuo padre, allora il loro obbiettivo è quella… perché andare a rifugiarci proprio lì?”, proseguì Fraw.
“Non sono qui per la nave”, rispose Amuro, “vogliono il Gundam!”

La tangenziale di carico del North Space Gate terminava con un’ulteriore rampa che entrava in una saracinesca alta oltre venti metri e larga almeno il doppio, incastonata nella roccia viva che costituiva la parete Nord di Side7. Il primo dei tre grossi autocarri imboccò la porzione finale di strada mentre la saracinesca iniziava ad aprirsi, rivelando al suo interno la prua dello scafo della White Base. Appena un paio di chilometri più sotto, il frastuono della battaglia cresceva man mano che essa s’avvicinava.
“Grazie al cielo, sono arrivati!”,  esultò il Professor Ray, sbracciandosi per dare istruzioni al conducente del prezioso autotrasporto.
L’autista del primo camion mise un braccio fuori dal finestrino e iniziò a gesticolare a sua volta, anticipando al personale a terra la manovra che intendeva operare.
Una raffica di mitra costrinse tutti a gettarsi al suolo e cercare riparo.
Quando Tem Ray rialzò lo sguardo vide il parabrezza del primo automezzo in frantumi e macchiato di schizzi purpurei, il braccio del conducente che pendeva mutilato dal finestrino e il veicolo che scivolava lentamente a marcia indietro. Man mano che acquistava velocità ripercorrendo il ripido declivio al contrario, il gigantesco rimorchio iniziò a sbandare paurosamente a destra e sinistra, fino a strappare via i giunti che lo assicuravano alla motrice e imbardarsi infine su un lato, in senso perpendicolare alla strada, travolgendo gli altri due autocarri identici che lo seguivano. La cabina della motrice del secondo mezzo venne letteralmente schiacciata dalla somma della sua velocità e del peso del primo rimorchio impazzito, causando un arresto improvviso e un tamponamento a catena da parte del terzo mezzo che seguiva. Il terzo veicolo strappò e trascinò via con sé il rimorchio del secondo, sfondando il guard rail sinistro della tangenziale. I due mezzi, così incastrati, volarono oltre il ciglio della strada, giù per il pendio quasi verticale che arrivava a valle.
“No, no, no!”, esclamò lo scienziato militare, sovrastando perfino il frastuono dell’impatto tra camion, mentre Bright lo aiutava a rimettersi in piedi.
Nella foga dettata dalla rabbia e dalla frustrazione, Ray afferrò il giovane ufficiale per il collo piuttosto che aggrapparvisi per aiutarsi, inveendo e urlando:
“Bright, maledetta recluta, faccia qualcosa, recuperi quei Mobile Suit!”
“No, Tenente, ne recuperi uno solo!”, ingiunse perentoria una nuova voce.
I due si voltarono e videro il Comandante Cassius fasciato in una Normal Suit.
“Questa colonia ha subito troppi danni, è improbabile che possa resistere a lungo. Dobbiamo usare la White Base per evacuare i civili!”, aggiunse l’anziano ufficiale.
“Questo è inaccettabile!”, protestò Tem Ray.
“Non è mia intenzione abbandonare la popolazione per portare a Jaburo del materiale superfluo, Tem”, rispose freddo Cassius, “recuperiamo il primo rimorchio. Bright, fai detonare le cariche sugli altri due!”
Tem Ray assunse un’aria di sfida, ma non osò aggiungere nulla, mentre Bright gli requisiva il comando a distanza degli esplosivi e premeva alcuni pulsanti su di esso.
“C’è qualcosa che non va!”, disse Bright, “non succede nulla!”
Il bagliore di un’intuizione scosse la mente scientifica di Tem Ray il tanto che bastava dal destarlo dal suo disappunto.
“Le particelle Minovsky! Che stupidi, non vi è modo di comandare a distanza quegli ordigni, fintanto che i due Zaku sono qui!”
“Vuol dire che dovremo farli esplodere manualmente!”, disse il Comandante.
“Ci sono dei timer, sui detonatori…”, aggiunse Bright.
I tre percorsero in fretta la rampa in discesa, oltrepassarono il primo rimorchio, si fermarono sul ciglio della strada laddove gli altri due avevano sfondato il guard rail e guardarono in basso, oltre il dirupo.
Uno dei due rimorchi aveva fermato la sua corsa contro quello che restava del centro di reclutamento, l’altro era passato oltre, fino alla zona residenziale, completamente capovolto. 
“Bright, aiuti il professore nel recupero del prototipo, lo porti sulla White Base e la prepari ad abbandonare Side 7 con tutti i civili che riesce a trovare…”, ordinò il comandante indicando il container ancora sulla strada, “…degli altri, mi occupo io con la mia squadra!”
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« Risposta #34 il: 26 Giugno 2012, 00:59:34 »

Sebbene l’inglese fosse ormai la lingua ufficiale in tutti i territori della Federazione Terrestre comprese le colonie, vocaboli di origini latine, orientali, arabe e greche non mancavano.
Fraw, la cui famiglia proveniva dalla Germania, aveva più volte ascoltato parole in tedesco, sfuggite al nonno nei momenti di nervosismo o davanti ad una partita alla tv, e sapeva che la famiglia di Hayato, i Kobayashi, mantenevano tutt’ora in casa i loro costumi, la lingua e le tradizioni dell’originario Giappone. Ma quella parola così nuova e strana, non riusciva proprio a comprenderla.
Guardò Kikka mentre sonnecchiava aggrappata alle spalle di Amuro e poi i pochi metri che mancavano alla piazzola di carico del North Space Gate, poi domandò:
“Cosa è un Gundam?”
Amuro si voltò. La ritrovata, proverbiale, curiosità di Fraw Bow non  poteva che essere un buon segno. Stava reagendo. Decise di assecondarla.
“I piloti delle forze federali non hanno mai avuto troppa stima dei Mobile Suit, prima dell’ inizio della guerra con Zeon”, esordì, “quando la Anaheim Electronics presentò il primo mobile suit federale, il Robot Sperimentale tipo 75, i collaudatori lo derisero e dissero che era semplicemente un carro armato con un surplus di bocche da fuoco… “it’s just Guns on a Tank”, dicevano… da qui il nomignolo Guntank. Quando uscì  il tipo 77, sebbene si muovesse su delle vere gambe, dissero che era tutto mitra e cannoni, perciò lo ribattezzarono Guncannon.”
Amuro finì la scalata, sbucando proprio vicino alla radice della rampa di carico mentre i tre rimorchi la percorrevano, porse la mano a Fraw per aiutarla a fare altrettanto. Le indicò il carico, ancora celato sotto gli spessi teloni verdi.
“Ma il nuovo modello, il tipo 78, è dotato di un fucile e di una barriera portatile… A gun and a dam… Gundam!”
Una raffica di colpi passò sopra le loro teste… Kikka si svegliò piangendo disperata…. Il primo dei tre autoarticolati piombò sugli altri due ricacciandoli indietro fino a farli uscire di strada appena pochi metri più in alto di dove i tre giovani si trovavano… Fraw crollò sulle ginocchia coprendosi le orecchie con le mani e piangendo disperata. Era bastato un solo istante a rigettarla nel baratro.
Amuro guardò a valle e vide lo Zaku di Gene che brandiva in suo mitra con la canna ancora fumante. Poi tornò a osservare la disperazione di Fraw e di Kikka.
Un conato di rabbia e disprezzo crebbe in lui. E fu allora che scorse suo padre, assieme ad altri due uomini, la dove i camion erano usciti di strada. Guardavano nel vuoto e non s’accorsero di lui.
Afferrò Fraw per i polsi e la forzò a rimettersi in piedi.
“Fraw, aiuta Kikka, entrate nello spazioporto!”, le disse con fermezza guardandola dritta negli occhi.
“E tu?”, balbettò Fraw.
Amuro raccolse Haro e guardò prima suo padre e poi il rimorchio.
“Vi raggiungerò, ma prima devo fare una cosa!”

I due veicoli da trasporto, incastrati l’uno sull’altro, sfondarono il guard rail e piombarono giù lungo la scarpata, rotolando più volte l’uno sull’altro e perdendo pezzi ad ogni salto e ad ogni schianto.
Uno dei due rimorchi sfondò quel che rimaneva di uno dei muri di cinta dell’’ex complesso dell’Anaheim Electronics e s’arresto al suo interno… l’altro rotolò oltre, finendo nel bel mezzo dell’area residenziale e falciando una mezza dozzina di villette prefabbricate. La polvere e i detriti sollevati dalle collisioni ridusse la visibilità a pochi metri, per cui Char fece passare il suo binocolo digitale in modalità infrarossa e continuò ad osservare in silenzio finchè entrambi i giganteschi trasporti non giacquero immobili.
“Ottimo lavoro, Gene!”, disse al microfono interno del suo casco, “adesso occupati di quello rimasto in cima alla collina, i Federali non devono recuperarlo!”
“Come ordina, Maggiore!”, rispose via radio Gene. Char ghignò e cambiò il bersaglio del suo ricetrasmettitore laser:
“Denim da Char, copri quell’idiota del tuo compagno e fa che non combini altri guai, ci serve il prototipo rimasto allo spazioporto, dubito potremo ricavare qualcosa di utile dai rottami degli altri due!”
“Sarà fatto, Maggiore!”
La voce di Denim, al contrario di quella di Gene, tremava tradendo la consapevolezza d’averla fatta grossa. Char aggiunse:
“E, Denim, ringrazia la tua buona stella che possiamo incolpare Gene di questo disastro, perché l’Ammiraglio Dozul vorrà certamente la testa di qualcuno e ti giuro che non sarà la mia. Vediamo di non dover destituire due piloti in un giorno solo, intesi, caporale?”
Stavolta l’ex Sergente Maggiore Denim non rispose. Forse era troppo impegnato a capire se sarebbe stato meglio finire sotto Corte Marziale anche lui, piuttosto che degradato sul campo a quel modo, pensò Char.
Prese sottobraccio uno degli incursori che erano penetrati su Side 7 con lui, non certo per spirito fraterno ma per far funzionare gli interfoni a sfioramento.
“Cozun, prendi gli altri e andate a ispezionare il rimorchio finito nel comprensorio industriale, prestate la massima attenzione, potrebbero esserci ancora dei militari!”
Il Sergente Cozun annuì: “Cosa cerchiamo di preciso, Comandante?”
“I data disk e le scatole nere contenute nei cockpit. Recuperatele e portatele via.”
“E l’altro rimorchio?”, domandò il subordinato.
“Ci pensiamo Slender e io, a quello. Non credo ci siano pericoli, l’area residenziale sarà già stata evacuata, ormai… Andate!”
Cozun fece cenno di seguirlo agli altri due uomini di scorta, poi si lanciò nel vuoto dalla rupe dello spazioporto Sud, controllando la sua caduta col jetpack della Normal Suit.
“Vediamo se posso scoprire qualcosa da tenere per me”, pensò maliziosamente Char. Poi appoggiò la mano sul piede dello Zaku di Slander, che giaceva in posizione di tiro appena più in là, e parlò all’interfono:
“Tienimi d’occhio da qui. Intervieni solo e soltanto se te lo chiedo io, intesi?”

Dopo che il Comandante Cassio era andato via col suo team, il dottor Ray aveva ripreso a lamentarsi col povero sottotenente Bright.
“Inaccettabile… quante persone pensate di salvare, qui? Cinquanta? Cento? La popolazione di Side 7 conta oltre trentamila persone! Non c’è modo di caricarli tutti sulla White Base, sono comunque spacciati. Meglio lasciar perdere e caricare anche quel che resta degli altri due prototipi!”
“Non sono questi i miei ordini, signore…”, rispose laconicamente Bright mentre cercava di dirigere i suoi uomini per far agganciare una motrice di emergenza al rimorchio superstite.
“Sono ordini idioti fatti apposta per un idiota come lei, Bright!”, sbottò Tem Ray agitando un dito davanti al viso del giovane militare.
“Dunque è così, papà? I tuoi Mobile Suit valgono più della vita di persone innocenti?”
Il professor Ray si voltò e ristette per lo stupore di vedere suo figlio Amuro che lo guardava truce, coi pugni stretti lungo i fianchi che tremavano di rabbia. Ai suoi piedi, Haro rotolava stranamente silenzioso.
“Amuro, non avevo dubbi che saresti riuscito ad arrivare fino qui! Sali sulla nave, svelto!”, sorrise Tem.
“E degli altri, che mi dici? Fraw, Hayato… che ne sarà di loro?”, protestò Amuro.
Suo padre trasalì: “Il Gundam è la nostra sola speranza contro Zeon. Con esso potremo salvare milioni di persone, non poche migliaia”.
“È esattamente il tipo di risposta che m’aspettavo da te, papà!”, rispose enigmatico Amuro, raccogliendo Haro. Poi, senza proferire altro, si arrampicò sul rimorchio e, prima che suo padre o Bright potessero dire qualcosa, era già sparito sotto il telone protettivo.

Se glielo avessero chiesto, non avrebbe saputo dire come. Eppure, Kai era riuscito a raggiungere lo spazioporto nord di Side 7. Fosse stato un tipo più umile, si sarebbe detto sorpreso di sé stesso. Fosse stato curioso, si sarebbe fermato a osservare con più attenzione la magnificenza della nave spaziale federale lì ormeggiata. Ma Kai era fondamentalmente un egoista, e la sua curiosità si fermava alla semplice domanda “come faccio a scappare di qui?”
I caccia spaziali custoditi nell’hangar della White Base non avevano nulla a che fare con i Saberfish che aveva pilotato durante il suo anno di servizio volontario. Quelli che vedeva erano più piccoli e tozzi del tipico caccia federale, “tascabili”, come si sarebbe lui stesso sentito di dire.
Ma quel che contava era che uno di essi aveva il Cockpit aperto, così Kai ci si arrampicò e fece capolino.
“Bingo!”, esultò. Non aveva una grande opinione dei militari, Kai, ma almeno stavolta fu contento dello scarso livello intellettivo che usualmente accreditava loro. Per quanto strano e nuovo, quel caccia aveva i comandi nell’abitacolo esattamente identici a quelli dei vecchi Sabrefish.
Kai si fiondò dentro e chiuse la calotta. Si fregò le mani e ripassò mentalmente la procedura di avvio… check apparati, check motori… start-up del generatore primario… il sibilo familiare del motore a razzo arrivò al suo orecchio e il giovane, fermo in un sorriso ebete, si allacciò le cinture di sicurezza e guardò fuori.
Il sottotenente Ryu Josè, quell’odioso omone africano che non gli aveva dato pace per tutta la mattina, lo guardava dall’hangar con aria indispettita e mani ai fianchi. Kai non resistette alla tentazione e mostrò il dito medio all’ufficiale.
Ryu vide il gesto, annuì, sorrise e premette un tasto su una consolle a muro.
Un braccio meccanico di dimensioni inusitate piombò sul piccolo velivolo, lo sollevò e iniziò a piegarlo su sé stesso mentre Kai, bloccato dentro, adesso batteva i pugni sul parabrezza e gridava disperato.
“Ma che diavolo fai!”, urlò a Josè uno dei meccanici del’hangar.
Ryu si voltò indispettito.
“Mi scusi, signore”, si corresse il nuovo venuto vedendo le mostrine sul colletto dell’ufficiale nero, “sono il sergente meccanico Omur, responsabile tecnico del Guncannon che sta assemblando…”
“E allora?”, sbottò Ryu mentre osservava compiaciuto un secondo braccio meccanico che, lentamente, assemblava due gambe di Mobile Suit sul caccia che teneva prigioniero Kai.
“Il fatto è che quel ‘cannon è in manutenzione… lo abbiamo completamente ripassato con l’antiruggine rosso, ma abbiamo fatto a malapena in tempo a riverniciare in grigio mimetico solo la testa… non vorrà lanciarlo in battaglia dipinto come un bersaglio, signore!”
 “Oh,”, sorrise Ryu, “non preoccuparti, sergente. Il pilota che è a bordo è un tipo che ama farsi notare!”
Fece l’occhiolino a Kai, prima che questi sparisse inghiottito dalla parte superiore del Guncannon.
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Bhirgt
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« Risposta #35 il: 26 Giugno 2012, 01:00:36 »

Lo schianto del trasporto contro le mura del Centro di Arruolamento era stato il colpo di grazia per la struttura dell’edificio, che adesso scricchiolava e perdeva calcinacci dal soffitto.
“Affrettatevi, questo posto non reggerà ancora a lungo!”, gridò Sayla agli ultimi superstiti che stava aiutando a fuggire.
Riemergendo finalmente all’esterno per la prima volta, la ragazza si guardò attorno, attonita alla vista di quello spettacolo di morte e devastazione. Vide i due Zaku che si facevano strada attraverso l’ormai esiguo numero di veicoli federali, quasi due chilometri più a monte. Sembrava un buon momento per cercare un rifugio, posto che ne fossero rimasti di liberi, oppure di tentare di tornare al campus universitario, dove la facoltà di medicina possedeva uno shuttle ambulanza che lei aveva imparato a pilotare di recente. Decise per la seconda possibilità e si affrettò verso la zona residenziale.
Qui lo spettacolo, se possibile, era anche peggiore. Solo una piccola percentuale dei corpi che giacevano straziati al suolo appartenevano a militari o personale armato. La maggior parte delle vittime erano civili inermi. “Nessuno di loro s’aspettava di morire proprio oggi, in questo modo orribile!”, pensò tristemente Sayla. Poi, l’ombra di un uomo fasciato in una normal suit rossa che volava a bassissima quota attrasse la sua attenzione.
Sayla si guardò attorno e vide il cadavere di un soldato federale che ancora impugnava una pistola. Obbedendo ad un istinto indecifrabile staccò l’arma dalle dita serrate dal rigor mortis e si gettò all’inseguimento dell’ombra, sparita oltre un angolo. Il cuore le batteva forte in petto, come preso da un’euforia di cui non avrebbe saputo indovinare il motivo.
Si strinse contro l’angolo dell’edificio dietro il quale l’uomo era sparito e fece capolino:
Conosceva fin troppo bene il taglio e i dettagli di una Normal Suit di Zeon, erano parte di un ricordo che non l’abbandonava mai, sebbene non ne avesse mai viste di quel colore assurdo.
L’uomo stava ispezionando dei rottami sfuggiti da sotto il telone di un autoarticolato identico a quello che aveva colpito il Centro di Reclutamento. Sayla fece un profondo respiro e si lanciò fuori dal nascondiglio, puntando la pistola con la fermezza che suo fratello maggiore gli aveva insegnato molti anni prima.
“Fermo e tieni le mani in alto!”, urlò al soldato nemico.
Questi lasciò cadere un rottame che aveva raccolto, alzo le mani tenendole bene in vista e si voltò lentamente. La visiera specchiata del casco, interamente calata, ne celava completamente il viso. Sayla si soffermò ancora sulla normal suit, di un rosso di un’imbarazzante tonalità.
“Bellezza, giocare con le armi può essere rischioso!”, disse il soldato con un tono di scherno.
“A volte il rischio è l’unica opzione!”, rispose secca Sayla, stupendosi di aver citato per ben due volte suo padre nello spazio di poche ore.
Il cuore di Char si fermò per un istante. Possibile che fosse proprio lei? Una comunicazione laser crepitò nella sua cuffia:
“Maggiore, qui Slander, ho il bersaglio, faccio fuoco!”
“No!”, urlò Char gettandosi in avanti sulla ragazza.
Sayla esitò un momento di troppo ed il nemico le fu addosso prima che potesse tirare il grilletto.
Ma l’onda d’urto di un colpo di ben altro calibro atterrò a pochi metri da loro, catapultandoli dietro l’unico muro rimasto in piedi di quella che era stata una delle residenze civili di Side 7.
Sayla si rialzò, scrollandosi di dosso il corpo apparentemente privo di sensi del soldato nemico.
Era stata un sua impressione, o quell’uomo l’aveva spostata dalla linea di tiro?
Tuttavia, adesso sembrava inerme, mentre lei era ancora armata. Il medico il lei decise di accertarsi delle sue condizioni, quindi tenendo la pistola pronta nella mano destra agì con la sinistra sull’apertura d’emergenza del casco spaziale.
Lo spettacolo che le si parò davanti le fece portare la mano alla bocca.
Un volto martoriato di ustioni e cicatrici, parzialmente celato dietro una mascherina cibernetica che copriva tutta la fronte e giù fino oltre gli zigomi. Chiunque fosse quell’uomo, doveva essere passato attraverso l’inferno.
Mise la mano davanti alle labbra di lui per verificarne la respirazione, e qui accadde l’inatteso:
La sua mano passò attraverso le cicatrice. Sayla sgranò gli occhi.
Una mano afferrò con una morsa d’acciaio la sua pistola, strappandola dalla presa e lanciandola via.
Il soldato di Zeon si slacciò la mascherina, rivelando un volto dai lineamenti regolari e intatti incorniciati in lunghi capelli biondi. I suoi occhi, azzurri come quelli di lei, la fissarono.
“Make-up olografico”, ghignò Char, “una ragazza come te di certo ne ha già sentito parlare!”

Una lama di luce investì l’interno del cockpit. Amuro scaraventò senza troppi riguardi Haro sul sedile. Il robot reagì protestando a modo suo: battendo le alucce che ospitavano le sue braccia retrattili e facendo lampeggiare alternativamente i due led che costituivano gli occhi.
Amuro colse il significato ma non si diede troppa pena, sistemandosi a sua volta sul sedile e richiudendo il portello da cui era entrato, ripiombando così nel buio. Sospirò.
Gli sembrava di nuovo di essere da solo, al buio nel letto della sua cameretta. Ma non era nella sua cameretta. Haro, che era pur sempre un robot di compagnia e sapeva leggere bene i bioritmi del suo giovane padrone, scansionò con elettronica precisione tutti i dati biometrici di Amuro.
“Amuro, che fai? Amuro, che fai?”, disse.
“Haro, sta zitto!”. Rispose sgarbato Amuro. Il cockpit si animò. Quadranti e monitor si illuminarono. Una voce sintetica femminile echeggiò nella cabina di pilotaggio:
“Registrata una presenza non autorizzata! Identificarsi!”
Amuro sorrise, aprì il case di Haro e premette un tasto sulla tastiera celata all’interno.
“…Gundam è la nostra sola speranza contro Zeon…”, ribadì la voce registrata di Tem Ray.
La foto dello scienziato apparve istantaneamente, unita ai suoi dati personali, su uno dei monitor.
“Impronta vocale verificata, buongiorno Professor Ray!”, replicò la voce sintetica, che poi aggiunse:
“Anaheim modello RX-78, avviamento!”
Amuro sorrise e afferrò le due leve di comando poste ai suoi lati, mentre i monitor principali si illuminavano e mostravano l’ambiente esterno.
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neziR
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« Risposta #36 il: 26 Giugno 2012, 13:49:47 »

Grande, Bright!  brindisi
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troerob
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« Risposta #37 il: 26 Giugno 2012, 17:08:00 »

STAMPATO, me lo porto via al mare (se i figli mi lasciano) e me lo leggo tutto
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erioats
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« Risposta #38 il: 27 Giugno 2012, 14:56:34 »

continua a piacermi e continuo ad aspettare il resto. una piccola osservazione te la faccio però.
Kai smile
puoi dare ovviamente del personaggio la lettura che vuoi e puoi liberamente sceglierne una quasi esclusivamente negativa ( diversa dalla mia, ma non importa), però secondo me sarebbe meglio evitare di inserire direttamente le valutazioni del narratore sul personaggio, almeno quelle troppo esplicite, per lasciarle invece al lettore attravrso i comportamenti del personaggio stesso. ovviamente puoi indirizzarle come e dove vuoi, non è mica detto che l'interpretazione sia completamente libera, ma esplicitarle troppo ( "un egoista" scrivi se non sbaglio) secondo me irrigidisce un po' la lettura.
è una questione stilistica non di simpatie smile
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« Risposta #39 il: 27 Giugno 2012, 16:22:29 »

Ma Kai è uno sporco egoista, quindi mi sembra corretto quanto scritto dal buon Bright.
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"In Sayla We Trust"

"Sayla Mass! È per assicurarci che questo simbolo dell’Universo non sia più sconvolto che siamo nati!
Sayla Mass! È per restituire un vero potere nelle sue mani che sorgiamo noi, la Brigata di Sayla!"
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« Risposta #40 il: 27 Giugno 2012, 17:26:18 »

continua a piacermi e continuo ad aspettare il resto. una piccola osservazione te la faccio però.
Kai smile
puoi dare ovviamente del personaggio la lettura che vuoi e puoi liberamente sceglierne una quasi esclusivamente negativa ( diversa dalla mia, ma non importa), però secondo me sarebbe meglio evitare di inserire direttamente le valutazioni del narratore sul personaggio, almeno quelle troppo esplicite, per lasciarle invece al lettore attravrso i comportamenti del personaggio stesso. ovviamente puoi indirizzarle come e dove vuoi, non è mica detto che l'interpretazione sia completamente libera, ma esplicitarle troppo ( "un egoista" scrivi se non sbaglio) secondo me irrigidisce un po' la lettura.
è una questione stilistica non di simpatie smile

Aridaje!
Aspetta che sia finito! Se ho dipinto Kai così finora, c'è un motivo... un motivo che capovolge completamente il personaggio (lo avevo detto che mi sarebbe piaciutorenderlo il Vero Eroe? Mi pare di sì...) per come l'ho scritto finora, e che va a braccetto col colore del GC e col suo esserne pilota titolare. Ma devi aspettare, come per le cicatrici di Char su cui t'irrigidivi la scorsa volta. A me piace moltissimo, tra l'altro, Kai...
« Ultima modifica: 27 Giugno 2012, 17:28:34 da Bright » Loggato

erioats
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« Risposta #41 il: 28 Giugno 2012, 08:22:04 »

non mi irrigidivo affatto! avevo solo messo la modalità inquisitore on  twisted hai ragione, aspetto che sia finito...ma tu non spoilerare! e lavora frustate
la critica costruttiva serve sempre! ( nel mio lavoro sono preso a "mazzate" dai colleghi quotidianamente...ma serve). anche a me piace kai...
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Hirkau
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« Risposta #42 il: 28 Giugno 2012, 09:06:00 »

Certo che avete gusti strani... confuso
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« Risposta #43 il: 08 Settembre 2012, 16:16:04 »

IV

“È bloccato dall’interno”, urlò da sopra il rimorchio del Gundam superstite il prof. Ray a Bright, “anche il mio accesso da amministratore è stato resettato!”
Tem Ray, a dispetto dei suoi quasi cinquant’anni, scese giù dal rimorchio con un salto, ignorando la piccola scaletta verticale montata sul veicolo solo pochi metri più in là, mostrando la stessa agilità con cui vi era salito nel vano tentativo di fermare suo figlio.
“Cosa facciamo adesso, signore?”, domandò Bright, non poco confuso da questi ultimi, improvvisi sviluppi.
“Corra a recuperare un’altra motrice, dannato imbecille! C’è mio figlio, intrappolato lì dentro!”, rispose furioso l’ingegnere.
“Allora ce l’hai, un cuore, Tem Ray!”, pensò Bright, mentre si voltava alla volta della saracinesca dello spazioporto, ignorando gli insulti dell’impiegato della Anaheim ma non concedendogli parimenti l’educazione di alcuna risposta alle sue richieste.
Un’ombra oscurò improvvisamente la scena, polvere e detriti iniziarono a sollevarsi in dense nuvole rossicce, un sibilo crebbe in intensità, tacitato da uno schianto metallico.
Bright si voltò e vide lo Zaku di Gene, mitragliatore in mano, che sovrastava il rimorchio telonato che custodiva il prezioso prototipo e la vita del giovane che v’era voluto salire a bordo.
Dopo un attimo di smarrimento dovuto all’agghiacciante spettacolo, Tem Ray si voltò verso Bright urlando con tutto il fiato che aveva in corpo:
“Il fuoco di copertura, presto!”

Char si riallacciò il visore sul volto mentre teneva sotto tiro Sayla con la stessa pistola di cui l’aveva disarmata. La ragazza era seduta a terra, le gambe piegate su un lato, e non gli aveva staccato gli occhi di dosso per un istante, i delicati tratti del viso irrigiditi in un’espressione tra il sorpreso e l’inquisitorio. Char stentava a crederlo e certo non aveva voglia né tempo per sincerarsene empiricamente, ma nel suo cuore già sapeva.
Sapeva che quella, a dispetto dei suoi modi così risoluti ed estranei al ricordo che aveva di lei, era sua sorella. E sapeva che lei vedendo il suo volto era arrivata alla medesima conclusione. Per questo stava calandosi di nuovo la maschera sul volto… per eliminare almeno metà di quell’imbarazzante certezza. Ma, da uomo scaltro qual’era, aveva scelto di eliminare o perlomeno ridurre le certezze di lei, non le sue. Arthesia. Chi l’avrebbe mai detto!
Qualcosa, nel visore che celava parte del suo volto e ne alterava il resto tramite una serie di complessi ologrammi, non funzionava più. Nonostante la maschera fosse bene allacciata, le finte cicatrici e bruciature non venivano più proiettate sulle sue guance.
“Poco male”, pensò, “Sono mesi ormai che nessuno mi guarda davvero in faccia, quando mi rivolge la parola”. Dopotutto, le cicatrici non erano visibili attraverso i monitor e il Maggiore Aznable aveva avuto cura di non farsi mai fotografare chiaramente, né prima né dopo il suo falso incidente. In molti, a Zeon, non sapevano che faccia avesse.
Fece per raccogliere il casco spaziale, ma una voce lo congelò.
“Fermo dove sei e getta l’arma!”
Char voltò appena il capo: un gruppo di soldati federali in normal suit lo teneva sotto tiro. Sorrise e si congratulò con sé stesso pensando: “Altro che nave ospedale!”
Alzo le mani senza mollare la pistola, voltandosi verso i nuovi arrivati cosicché potessero vederlo bene.
Quello che sembrava essere il leader del plotone era un uomo sulla cinquantina, coi gradi di Capitano di Vascello sulla tuta spaziale. “Il comandante della nave, nientemeno!”, si sorprese Char. L’attacco scellerato di Gene doveva aver messo i Federali in crisi assai più di quanto fosse lecito aspettarsi. Anche l’ufficiale anziano lo squadrò con attenzione, poi disse:
“Maggiore Aznable...”
Già, a Zeon molti non conoscevano il suo aspetto. Ma il nemico federale aveva imparato a riconoscerlo al volo, e bene. Effetto collaterale del timore, evidentemente.
 “Maggiore Char Aznable, sappiamo chi é lei”, continuò Cassius, “non ci costringa a spararle, preferiremmo non doverlo fare. Getti la pistola e lasci la ragazza!”
La ragazza! Char fu assalito da un dubbio atroce… forse i Federali sapevano del suo segreto... del loro segreto? Doveva scoprirlo. Doveva agire in fretta.
Abbassò la mano che impugnava l’arma ma, invece che gettarla via, la puntò diritta alla testa di Sayla. Cassius non fece una piega e disse semplicemente:
“Come preferisce… Fuoco!”
I soldati iniziarono a sparare, ma Char, pago dell’aver verificato il suo dubbio, fu assai più svelto: spinse Sayla di lato, accese il jetpack e schizzò in volo prima che le raffiche potessero raggiungerlo,  poi si infilò il casco e disse: “Slander, ora!”
Un singolo colpo da 300mm piombò nel bel mezzo del plotone, lanciando i militari per aria come stracci e sollevando una densa nuvola di polvere.
Paolo Cassius si trascinò bocconi fuori dalla coltre, ansimando e gemendo, mentre una figura gli si faceva vicino e lo aiutava a voltarsi supino.
“Tutto bene?”, chiese a fatica lui.
Sayla annuì, poi abbassò lo sguardo sul petto dell’anziano comandante: era letteralmente crivellato da macchie purpuree.
“Devi… aiutarmi a fare una… cosa!”, gemette l’ufficiale.

Gene atterrò pesantemente sulla piattaforma su cui s’affacciava lo spazioporto nord. Avrebbe potuto atterrare più docilmente, ma le scorte di energia iniziavano a scarseggiare e un bell’atterraggio senza vernier faceva sempre il suo effetto sul nemico, specie se esso era costituito da uno sparuto gruppo di tecnici disarmati e a piedi. Adesso, aveva l’appetitoso bottino della sua intera azione al centro del monitor: un rimorchio privo di motrice su cui era caricato qualcosa, verosimilmente il prototipo di un nuovo Mobile Suit, quasi totalmente coperto da un doppio telo di colore verde-azzurro. Gene si leccò le labbra gustando il sapore salmastro del suo sudore, causato dall’ eccitazione di quell’istante. Il sapore della vittoria, pensò, il sapore dell’onore, il sapore di una promozione tra i suoi ranghi. Decise di contattare il Sergente Maggiore Denim prima di agire… voleva che fosse ben chiaro che quella sarebbe stata l’ultima volta che gli avrebbe parlato da subalterno.
“Denim da Gene, tally-oh, sweet lock-on, candy… one-five”.
Lo zelo nella voce e l’inusuale utilizzo della terminologia procedurale corretta fece trasalire Denim nel suo abitacolo: quel matto voleva distruggere anche l’ultimo prototipo, aveva ancora quindici colpi per procedere ed il bersaglio già agganciato!
“Gene da Denim, negativo, hold-your-fire, ripeto, hold-your-fire, ordine diretto dell'OpCom!”, rispose di getto e quasi urlando l’ex-sergente, riportando al suo sottoposto l'ordine datogli da Char, “non danneggiare in alcun caso l'ultimo prototipo”.
I microfoni esterni captarono e fecero risuonare nel cockpit dello Zaku di Denim il boato ritmico di una raffica. Denim chiuse gli occhi, aspettandosi il peggio dallo scellerato compagno.
Ma la voce che crepitò nelle sue cuffie apparteneva al più giovane della sua pattuglia:
“Denim da Slander, c’è qualcosa che non va, presta soccorso a Gene!”
Denim riaprì lentamente gli occhi e guardò sul monitor principale settando il massimo ingrandimento:
Lo Zaku di Gene era in ginocchio al lato del prezioso rimorchio, apparentemente disarmato e bloccato in un qualche modo… mentre un braccio metallico dipinto di bianco era emerso da sotto il telone protettivo, aveva afferrato la testa del Mobile Suit di Zeon e adesso la torceva e la scuoteva, come fosse intenzionato a strapparla via con la sola forza bruta…

Il cockpit ora era illuminato in maniera intermittente. La luce proveniva da tre grandi schermi panoramici montati di fronte e ai lati del sedile di pilotaggio che mostravano l'ambiente esterno a 180 gradi. L'intermittenza della stessa era dovuta al doppio telone verde-azzurro che copriva quasi totalmente il Mobile Suit, correndo da poco sotto la telecamera principale montata in cima alla testa fino alla punta dei piedi. La battaglia all'interno di Side 7 aveva probabilmente danneggiato il computer del controllo meteo, quindi adesso l'interno della colonia era battuto da un vento artificiale ostinato che, se da una parte dissipava i fumi degli incendi, dall'altra ne alimentava le fiamme. E batteva e agitava qualunque cosa potesse oscillare alla brezza, compreso appunto il telone protettivo.
Le dita di Amuro battevano veloci sui tasti, alternandosi tra la consolle principale del Gundam e la minuscola tastiera di Haro. Il giovane stava copiando affannosamente e a mano le impostazioni per il combattimento che aveva rubato dal computer del padre e usato sul simulatore di Guncannon quella stessa mattina. Di tanto in tanto, i  conti non tornavano ed era costretto ad improvvisare.
“Questo affare somiglia al Guncannon  solo apparentemente!”, si trovò a pensare.
Haro prese a saltellare sulle sue ginocchia, attirando la sua attenzione mentre ripeteva con la sua squillante voce sintetica:
“Mamma mia, guarda là! Mamma mia, guarda là!”
E Amuro vide.
Vide, attraverso uno dei tre monitor, uno Zaku color verde smeraldo che atterrava pesantemente a pochi passi da lui. Il Mobile Suit di Zeon gli mostrava un fianco, ma sembrava intenzionato a ruotare verso di lui non appena avesse riguadagnato il pieno equilibrio sulle sue titaniche gambe.
Il terrore paralizzò Amuro per un istante, facendo scivolare Haro dalle sue ginocchia giù sul fondo dell'abitacolo. Poi, il senso di autoconservazione ebbe il sopravvento, le mani trovarono le leve di comando quasi da sole, mentre sui monitor apparivano complicati grafici per l'identificazione del nuovo arrivato e uno schermo più piccolo, montato su un braccio oscillante, emergeva automaticamente da dietro il poggiatesta del sedile per frapporsi tra il volto di Amuro e quella paurosa visione.
La mano sinistra del ragazzo si serrò su una cloche. Il  pollice, come dotato di vita propria, premette il tasto più prominente.
Il ronzìo di un motore elettrico che andava in rotazione precedette di un istante il deflagrare ritmico di una mitragliata.

Bright ristette alla vista dello Zaku che atterrava a nemmeno dieci metri da lui, quasi facendosi cadere di mano il microtelefono col quale avrebbe dovuto chiedere rinforzi. Al suo fianco, Tem Ray, sicuramente più avvezzo a simili incontri, si era voltato verso di lui e gli strillava qualcosa mentre il giovane ufficiale si scopriva incapace anche solo di ascoltarlo, paralizzato com'era dal terrore.
Lo Zaku fletté sulle ginocchia per compensare il contraccolpo dell'atterraggio, poi ruotò la testa verso il rimorchio, ormai inerme, riconquistando lentamente una piena postura eretta e ruotando il torso e, ben più importante, il suo mastodontico fucile mitragliatore da 300mm verso il prezioso carico. Bright non se la sentì e chiuse gli occhi.
Una raffica fece vibrare l'aria e fece tornare il giovane in sé. Anche con gli occhi chiusi aveva percepito che quei colpi erano stati esplosi altrove, non provenivano dallo Zaku.
La prima cosa che vide fu Tem che adesso gli dava le spalle e non gridava più.
Poco più in là, vampate provenienti da una qualche bocca da fuoco perforavano il telone del rimorchio federale, esplodendo colpi che si abbattevano sullo Zaku all'altezza degli avambracci.
Bright fece appena in tempo a lanciarsi sull'irascibile ingegnere della Anaheim e spingerlo via prima che le mani amputate dello Zaku, con ancora in pugno il fucile, piombassero al suolo là dove i due federali sostavano poco prima.
Poi, fu il turno dei cigolii.
Bright, ora carponi al suolo, alzò lo sguardo. Pur non essendo un pilota, sapeva bene che lo Zaku era uno dei primissimi Mobile Suit dotati di gambe. Il suo sistema di gestione dell'equilibrio era perfino più arretrato di quello del Guncannon... non c'era modo che, a fronte di un cambio del bilanciamento nel suo peso come appunto la perdita istantanea di entrambe gli avambracci, una macchina come quella potesse restare in piedi.
Seguì con la bocca aperta le oscillazioni del Mobile Suit verde mentre si sbilanciava all'indietro, quindi cercava goffamente di compensare, quindi cadeva a faccia in avanti tentando di ripararsi protendendo i due moncherini che vomitavano fumo e scintille dalle estremità... giù, dritto sul rimorchio.
Ma non vi arrivò mai.
Con un potente strattone, un braccio meccanico meccanico laccato di bianco lucido e lungo oltre sei metri emerse da sotto il telone verde-azzurro. Alla sua estremità, una mano larga un metro e mezzo, che sembrava inguantata con neoprene, piantò le lunghe dita nel visore posizionato al centro della testa dello Zaku, modificandone la caduta e costringendolo in ginocchio.
Poi, le dita si serrarono sul grosso tubo che attraversava orizzontalmente la metà inferiore della testa del Mobile Suit... il braccio smise di spingere e iniziò piuttosto a tirare.
“É come se cercasse un appiglio per alzarsi in piedi!”, si stupì a pensare Bright.
Il rimorchio iniziò ad oscillare alternativamente sui lati... gli ammortizzatori delle gigantesche ruote protestarono con dei sinistri cigolii... i legacci elastici che tenevano il telone in posizione si tesero uno ad uno, poi iniziarono a spezzarsi... il lato destro del telone cedette, una gigantesca gamba meccanica bianca svettò in verticale per poi descrivere una parabola e piegarsi piantando al suolo un piede grande come una grossa autovettura... più in là, una seconda mano emerse da sotto la copertura puntellandosi aperta per terra e sollevando una nuvola di polvere...  i legacci sul lato opposto cedettero a loro volta, rivelando una presa d'aria contornata di vernice gialla, dal cui interno emerse un soffio di vapore accompagnato da un sibilo crescente che fendette l'aria dentro Side 7.
“Non può averlo fatto...”, pensò ad alta voce Tem Ray.
Bright fece per rispondergli qualcosa, quando un secondo sibilo di turbina unito ad un tonfo sordo lo raggiunse alle spalle. I due uomini si voltarono e videro un secondo Zaku che era appena atterrato, in maniera assai meno teatrale del primo, una ventina di metri più a monte.
Un'ombra sorvolò i due spettatori inermi, rubando ancora la loro attenzione.
Dopo una breve parabola, la testa dello Zaku di Gene atterrò ai piedi del Mobile Suit di Denim.
Bright tornò a guardare verso il rimorchio e vide finalmente il Gundam in piedi che impugnava con entrambe le mani quel che restava del primo Zaku, per poi gettarlo da parte come fosse un sacco dell'immondizia.
Bright tornò a guardare lo Zaku superstite, bloccato davanti alla testa mozzata del suo compagno, e si sorprese a immaginare quanto più macabra sarebbe stata quella scena se, al posto di giganteschi robot, ci fossero stati uomini.
“Sembra una sfida”, pensò, tra sé.
« Ultima modifica: 08 Settembre 2012, 16:20:11 da Bright » Loggato

Bhirgt
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« Risposta #44 il: 08 Settembre 2012, 16:21:11 »

L'ex Sergente Maggiore Denim era un pilota molto esperto e scafato. Prima di arruolarsi nell'esercito territoriale di Munzo poi diventato l'esercito di Zeon, e molto prima di mettersi ai comandi di un Mobile Suit, era stato in servizio nella fanteria dell'esercito federale per quattro anni. Non amava ricordare quel periodo, per quanto gli riconoscesse il suo valore formativo.
“Ho visto ogni genere di schifezze”, era generalmente la prima frase che pronunciava a proposito delle EFGF.  Al di là delle critiche incerimoniose, aveva imparato come la Federazione agiva nel campo dei nuovi armamenti, come questi venivano presentati alla gerarchia militare ed alla classe politica che li dovevano selezionare per l'acquisto e l'impiego.
Per questo, quando riuscì a distogliere lo sguardo da ciò che restava dello Zaku di Gene, la vista del nuovo nemico fece scattare più di qualche molla in lui.
Il nuovo modello federale era un umanoide slanciato, dall'apparenza agile, privo di una blindatura pesante e goffa come quella del già noto Guncannon. Se avevano potuto permettersi di non fornirgli alcuna protezione, doveva per forza essere stato realizzato in qualche lega speciale. Altro tratto umanoide che colpì da subito Denim era la presenza di due occhi nella testa. Finora tutti i Mobile Suit entrati in servizio per ambo gli schieramenti avevano usato un sistema mono-eye. Questo era qualcosa di difficile, da spiegarsi. Da quanto si poteva capire, questo modello aveva due sensori pensati per fornirgli una vista binoculare di tipo umano, eppure non potevano essere la telecamera principale, visto il loro posizionamento svantaggioso per la visuale del pilota... forse quegli occhi non erano asserviti al pilota, ma al puntamento delle armi? Già, le armi... contrariamente ai suoi predecessori, questo Suit non sembrava avere armi incorporate, fatta eccezione per i cannoncini Vulcan con cui aveva attaccato Gene, bocche da fuoco minori e che di certo non potevano sostenere un combattimento da sole!
Tuttavia, ciò che colpì di più in assoluto Denim fu la livrèa. Un corpo quasi interamente laccato in bianco, con il solo torso dipinto in blu e rosso, più alcuni elementi gialli. Qui e là erano ancora leggibili, seppur parzialmente cancellati con un sottile strato di vernice, gli identificativi della macchina: “RX-78-2”. Questa sigla era individuabile un po'ovunque, sul corpo, su una spalla, su un ginocchio, su un lato della testa.
“Gene, accidenti a te, sei finito dritto in bocca ad un maledetto superprototipo!”, pensò mestamente Denim.
Fin dal XX secolo, il “dimostratore di tecnologie”, detto anche volgarmente “superprototipo”, era una macchina costruita per testare nuove soluzioni in determinate applicazioni dei settori aereo, spaziale e, ovviamente, militare. Si trattava di esemplari che raramente raggiungevano lo stadio di produzione in serie così per come erano, proprio perché implementare tutte quelle caratteristiche aveva dei costi esorbitanti che nemmeno la produzione su vastissima scala avrebbe ammortizzato. Tuttavia, queste spese erano invece giustificate nel più ridotto campo delle sperimentazioni, e spesso da un singolo superprototipo potevano nascere svariate tipologie di prototipi propriamente detti, ognuno dei quali implementava solo parte delle soluzioni d'avanguardia... generalmente quelle ritenute più immediatamente utili da chi commissionava lo studio.
Nel primo secolo U.C., l'invenzione del reattore nucleare compatto alimentato ad Elio-3 e la scoperta che gli scarti di questo tipo di generatori erano le famigerate particelle Minovsky, capaci di disturbare lo spettro elettromagnetico e quindi le radio e i radar, aveva reso possibile l'impiego in battaglia dei Mobile Suit, che si erano evoluti come una sorta di anello di congiunzione tra il cacciabombardiere ed il tank. Le loro dimensioni non erano un problema, visto che sostanzialmente ormai si combatteva a vista nonostante le armi avessero gittate che potevano andare ben oltre il campo visivo. Per questo si usava verniciare le unità con colori mimetici o a bassa osservabilità: per rendere più difficoltoso al nemico o a un qualsiasi altro osservatore la localizzazione del Mobile Suit.
In questo caso però non si era cercato affatto il mimetismo, anzi: i colori erano sgargianti e differenziati, troppo stridenti tra loro per poter pensare che quella livrèa fosse frutto dell'ego megalomane di qualche pilota come era avvenuto col Maggiore Char. No, Denim aveva capito qual'era lo scopo di quella macchina proprio perché quella era una scelta di colori tipica di un'arma che deve essere provata in un poligono, rimanendo sempre ben visibile da potenziali acquirenti che non necessariamente fossero addestrati a scovare a vista un Mobile Suit. Quel rosso messo proprio lì in mezzo, tra blu e bianco, senza motivo, era il tipico espediente per dire al personale valutatore “eccomi, sono qui!”. E tutte quelle tag riportanti il medesimo numero di identificazione non volevano dire nulla di buono: erano una firma, ripetuta, come se i progettisti fossero davvero entusiasti di quella macchina. E tornavano utili per dire “quello che vedete lo ha fatto non un MS qualunque, ma l'RX-78!”. Il che comportava che quel Suit doveva essere in grado di fare cose incredibili, senza precedenti, rimuginò Denim. Le cose non suonavano affatto bene.
Poi, c'era da considerare il pilota. Se quello era un superprototipo come sembrava, ai comandi ci doveva essere senz'altro il “Top Gun” dei piloti collaudatori federali. Un osso duro temprato da vittorie in chissà quanti combattimenti reali.
Il Mobile Suit federale, dopo pochi secondi che sembrarono ore, si mosse sporgendo la testa in avanti, la posizione ideale per usare i cannoncini Vulcan montati sulle tempie.
Denim percepì distintamente un nodo alla gola, mentre una goccia di sudore freddo gli tagliava a metà la schiena. Diminuì, senza quasi accorgersene, la pressione sul pedale di destra, facendo eseguire al suo Zaku un mezzo passo indietro.
Il suo temibile nemico fece fuoco, ma partì un solo colpo, che peraltro mancò Denim di quasi cinque metri... “un errore inaccettabile, ad appena venti metri di distanza dal bersaglio!”, disse una vocina nella testa dell'ex sottufficiale di Zeon.
Denim guardò meglio: quella mostruosità bianca rimaneva in posizione di tiro, senza correggerlo, mentre i cannoncini multicanna vulcan frullavano l'aria emettendo un forte ronzìo ma senza esplodere un solo colpo. Denim sorrise.
Non solo il pilota aveva una pessima mira, ma aveva anche finito le munizioni!
Forse, tutto sommato quel prototipo non era affatto il mostro che aveva creduto in un primo momento, ma un esemplare incompleto con ai comandi un tecnico della Anaheim piuttosto che un pilota,  un principiante molto fortunato.
“In tal caso”, pensò Denim, “la tua fortuna finisce qui!”
Fece puntare al suo Zaku il fucile pronto in posizione di tiro.

“Non riesco a contattare il Comandante Cassius!”, protestò il sergente Job John.
Il suo interlocutore era il trentatreenne Capitano di Corvetta Donald Zucker, comandante in seconda della White Base. All'ordine del comandante Cassius di procedere alla distruzione manuale dei due prototipi, tutto il personale non direttamente impegnato nel recupero del primo rimorchio era stato destinato in due improvvisate squadre di guastatori, i team “Alpha” e “Bravo”. Al comando della squadra Alpha, destinata alla distruzione del rimorchio più lontano, c'era Cassius stesso. A Donald era toccato il comando della squadra Bravo, e non faceva che domandarsi se anche il suo anziano comandante avesse incontrato una piccola squadra d'incursori di Zeon a difesa del loro obbiettivo.
Nonostante la squadra federale superasse in numero il nemico, erano stati assaliti di sorpresa, decimati e infine costretti a trovare riparo dal tiro delle armi da fuoco di esso, che ora si frapponeva con ferocia tra loro ed il rimorchio numero due.
Ma il problema più grave non era questo, adesso. Zucker aveva una certa esperienza in esplosivi e Mobile Suit: prima di diventare comandante in seconda della nuova astronave federale, era stato ufficiale esecutivo nello sperimentalissimo Primo Battaglione Robotizzato Mobile. Si era quindi reso conto di quanto far esplodere macchine come quelle, dotate di generatori a fusione nucleare, all'interno di un cilindro ermetico quale Side 7 non fosse, in effetti, una buona idea. Una sola di quelle esplosioni sarebbe bastata a forare il corpo della Colonia Spaziale, risucchiando tutto il suo contenuto nello spazio a causa di un fenomeno chiamato “Decompressione Esplosiva”. La decompressione avrebbe potuto perfino lacerare  Side 7 fino a farlo completamente a pezzi, compromettendo la sopravvivenza della White Base.
Sebbene esistessero delle procedure d'emergenza per contrastare simili sciagure, esse erano state studiate qualora un meteorite avesse colpito le colonie dall'esterno, non per deflagrazioni interne.
L'unica opzione di facile esecuzione sarebbe stata attivare le misure anti-meteorite prima di fare esplodere i prototipi, per questo spronava il suo sottoposto, poco più di un ragazzo e certo non un esperto in comunicazioni laser, a contattare Cassius per decidere assieme una strategia. Già, sarebbe stato assai più facile puntare il commlink verso lo spazioporto nord in cima alla collina e contattare Tem Ray che, dall'alto sua posizione, avrebbe potuto facilmente riportare il messaggio a Cassius... ma Zucker non riponeva nell'ingegnere la stessa fiducia del suo Comandante, anzi. Probabilmente, Ray avrebbe sfruttato la situazione a suo vantaggio per tornare alla carica e chiedere il recupero di tutti i prototipi, una cosa inaccettabile vista la situazione. No, meglio parlarne col comandante e solo con lui. Nemmeno il resto del Team Bravo era stato messo al corrente del problema, erano troppo giovani e la cosa peggiore che potesse capitare a quel punto era che tra i suoi uomini si diffondesse il panico. I pensieri di Zucker lo portarono ad una distrazione eccessiva e una raffica proveniente dalla direzione opposta a quella da cui si era finora riparato falciò altri tre dei suoi uomini, risparmiando solo lui e Job John.
“Maledizione, ci hanno aggirato!”, urlò al sergente che aveva già lasciato da parte il commlink e ripreso a sparare nella nuova direzione della minaccia.
Uno sparo raggiunse il comandante da dietro, attraversandogli ìl petto. Job John si girò di nuovo e lo vide cadere al suolo, esanime. In piedi su un muro diroccato che li sovrastava di tre metri c'era un altro  soldato di Zeon fasciato nella sua normal suit verde e con l'arma puntata, pronta per il colpo di grazia. John chiuse gli occhi in attesa dell'inevitabile, ma al posto dello sparo, sentì un tonfo. Quando riaprì gli occhi il soldato giaceva inanimato al suolo, mentre un ragazzo di bassa statura e dai tratti orientali si trovava dove fino a poco prima c'era il nemico, bloccato in una posizione di guardia da judoka esperto.
Job, spaventato, gli puntò contro l'arma.
“Chi sei, cosa ci fai qui, che vuoi?”, gridò istericamente.
Il giovane alzò le mani deluso e disse: ”Mi chiamo Hayato Kobayashi, abito qui vicino e volevo aiutarvi”.

Char risalì la parte Sud della colonia compiendo una serie di salti controllati, supportati dai razzi vernier montati sul jetpack della sua Normal Suit, fino ad arrivare al boccaporto di servizio in cima ad una rupe sulla quale svettava lo Zaku del Sergente Slander, inginocchiato sulla gamba destra e col rifle puntato a valle, in posizione di tiro.
Atterrò nelle vicinanze  del piede sinistro e poggiò la mano su di esso per attivare l'interfono a sfioramento.
“Notizie dalla squadra di Cozun?”, domandò al giovane sottufficiale.
“Nessun contatto da cinque minuti, Maggiore”, riportò preoccupato Slander, “l'ultima comunicazione riportava uno scontro a fuoco con un plotone di Federali nelle vicinanze dell'installazione della Anaheim, immagino ancora in corso, ma il fumo a valle é troppo denso per vederci qualcosa od usare le comunicazioni laser.”
Char se lo aspettava. Puntò il suo binocolo pieghevole verso il lato opposto di Side 7, allo Space Gate Nord, e inquadrò lo Zaku di Denim che teneva sotto tiro il Mobile Suit bianco della Federazione Terrestre.
“E che mi dici di quello?”, domandò ancora a Slander, “hai visto cosa ha fatto a Gene?”
“Visto e registrato, Comandante.”, piagnucolò Slander, aggiungendo: “...quel mostro é impressionante!”
Char rise, dentro di sé, della mancanza di spina dorsale del suo giovane subordinato. Per lui, Slander non era altro che una copia ridotta di Denim o di Dren, sicuri e spavaldi fintanto che la situazione era propizia, ma pronti a mostrare la loro reale, pavida natura alla prima avvisaglia di una battaglia difficile, o anche semplicemente fuori dai canoni, come si stava dimostrando appunto quella.
Tornò ad osservare, attraverso il suo minuscolo binocolo digitale, il mirabolante prototipo federale mancare lo Zaku di Denim e continuare con lo stesso attacco nonostante non avesse più munizioni. Vide Denim riprendere sicurezza e avanzare.
“Idiota”, pensò, “quell'affare ha già dimostrato di poter fare a pezzi uno Zaku a mani nude!”
Poggiò nuovamente la mano sulla corazza del Mobile Suit di Slander e parlò all'interfono:
“Ribadisci a Denim che voglio quel Suit intero e di non provare nemmeno a farsi venire l'idea di colpirlo! Piuttosto, facciamogli capire che é circondato! Spara un colpo d'avver...“
“Signore, cosa diavolo é quello?”, lo interruppe Slander.
Char si voltò: un grosso aeromobile era decollato dal campus universitario situato poco più lontano dell'ex complesso Anaheim.

Lo Shuttle-Ambulanza della Facoltà di Medicina di Side 7 era un vecchio autogiro da trasporto della classe Gunperry, i cui motori a reazione erano stati sostituiti con dei vernier a razzo per garantirne una minima operabilità in assenza d'atmosfera nello spazio immediatamente vicino alla Colonia Spaziale.
Sayla assicurò il Comandante Cassius sul sedile del secondo pilota, avendo cura che le cinture di sicurezza non stringessero sulla fasciatura d'emergenza che gli aveva praticato sulle ferite.
“Hai... capito bene cosa devi fare?”, domandò con un filo di voce l'anziano ufficiale.
“Sì, Comandante, non dovrei avere problemi”, lo rassicurò lei mentre spostava la sua attenzione sui  controlli pre-decollo.
“Sai”, aggiunse lui, “prima ho avuto... come la sensazione...”
Sayla si voltò di scatto. Cassius la guardò fisso negli occhi.
“Char non aveva alcuna intenzione di spararti, né di permetterlo a noi!”, concluse, tutto d'un fiato.
“Già”, pensò Sayla, “l'asso di Zeon di cui parlano i giornali, l'uomo del mistero venuto dal nulla e che nasconde le sue reali fattezze dietro uno squallido trucco da baraccone... mi ha salvato la vita due volte in pochi minuti ed é rimasto di sale al sentirmi citare Zeon Daykon!”
Non si sentì di continuare a percorrere il sentiero logico segnato da tutti quegli indizi, qualcosa dentro di lei le aveva detto già dove portava. Quella conclusione non le piaceva affatto.
“Resista”, cambiò discorso lei afferrando la cloche e la manetta dei motori, “Decolliamo!”
Cassius lasciò cadere il capo sul poggiatesta e chiuse gli occhi mentre l'abitacolo vibrava.
Il Gunperry si alzò di meno di dieci metri dal suolo e inclinò i suoi tre rotori in avanti, portandosi con uno scatto invidiabile, data la mole del velivolo, a metà strada tra quello che era stato il quartiere civile di Side 7 e le rovine dell'installazione della Anaheim. Qui si fermò in hovering, mantenedo la bassa quota.
Nell'abitacolo, Sayla accese i tracciatori laser posti sotto lo scafo dell'aeromobile e li regolò: uno su un ricevitore fisso, l'altro alla ricerca di una ricetrasmittente in movimento. Infilò una cuffia con microfono.
“Team Bravo da Gunperry, ho l'Alpha Leader a bordo, domando situazione”, disse al trasmettitore.
Dopo innumerevoli secondi di silenzio, una voce inframmezzata dai crepitii degli spari parlò in cuffia:
“Gunperry da Bravo, grazie al cielo, non possiamo raggiungere il bersaglio, un plotone di incursori nemici ci sbarra il passaggio!”
“In quanti siete, Bravo?”
“Sergente Job John, unico superstite. Ho con me un civile”.
Qualcuno laggiù, pensò Sayla, stava combattendo con le unghie e con i denti. Regolò meglio l'altro emettitore laser, poi riprese il contatto.
“Bravo da Gunperry, illuminate il bersaglio col ricetrasmettitore laser e allontanatevi, ci pensiamo noi!”
“Roger Gunperry, ripieghiamo, riportami quando hai il tono!”
Sulla consolle, apparve un terzo segnale laser. Sayla serrò l'indice destro sul grilletto anteriore della cloche.
“Ho il tono su entrambe i bersagli”, disse infine, “trasmetto l'impulso!”
Premette il grilletto.
Un preciso segnale venne trasmesso dai due fasci laser che partivano dal Gunperry, fino ai detonatori montati sui due rimorchi che trasportavano gli altri prototipi federali.
Quei fasci laser erano progettati per inviare istruzioni d'emergenza a persone o veicoli in difficoltà. Quella mattina, invece, trasmisero ai timer sui detonatori l'ordine di armarsi. 
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