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Tenente Generale
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« il: 27 Luglio 2011, 06:25:05 » |
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La Stagione degli Uragani nell'East Virginia era una stagione per modo di dire. Durando da Aprile a Novembre, si protraeva ben oltre i tre mesi canonici cui comunemente ci si riferiva quando si parlava di “stagione”.
“Dovrebbero chiamarlo 'Il Mezzo Anno degli Uragani'!”, pensò Sayla osservando il cielo plumbeo per le nuvole cariche di pioggia attraverso il parabrezza della piccola utilitaria che aveva preso a nolo all'aeroporto di Washington.
“Arrivo a destinazione tra novanta secondi”, sentenziò l'autopilota. Sayla si voltò di scatto verso il sedile posteriore: la voce sintetica non era riuscita a svegliare suo figlio, per fortuna. Il volo da Parigi a Washington durava ormai appena due ore, ma era comunque un viaggio troppo impegnativo per un bimbo di nemmeno cinque anni. Sayla si morse un labbro pensando che forse avrebbe dovuto aspettare un altro po'. L'auto sobbalzò esageratamente percorrendo uno dei ponti che attraversavano il fiume Potomac, distogliendola dai suoi pensieri. L'idea di noleggiare un'auto così economica per passare inosservata adesso le sembrava meno brillante di quando l'aveva avuta, due giorni prima.
“Mamma, siamo arrivati?”. Sayla guardò con tenerezza il suo piccolo che si era tirato a sedere sul sedile e si strofinava un occhio con la mano. “Arrivo a destinazione!”, rispose l'autopilota al posto della donna, rallentando dolcemente e fermandosi sul ciglio della strada come per volersi scusare della scossa di poco prima. Sayla guardò fuori dal finestrino: No, aveva aspettato abbastanza...
Era sorprendente quanto potesse pesare un bimbo così piccolo. Sayla lo teneva in braccio ormai da diversi minuti, scelta di cui si rimproverava ogni istante. Non avrebbe dovuto acconsentire ai suoi capricci, avrebbe dovuto farlo camminare, nonostante le erbacce e i ciottoli. Ma era il suo primo e unico figlio. La sua immagine riflessa, col bambino in braccio, richiamò la sua attenzione: scrutò la superficie specchiata sorpresa e incuriosita, poì abbassò lo sguardo e lesse la targa ai piedi dello specchio. Un brivido le percorse la schiena:
“Qui cadde uno degli specchi della Colonia Spaziale 'Isola Iffish', lanciata sulla Terra dal Principato di Zeon il 5 Gennaio 0079. Questo antico cimitero nazionale da allora ospita le donne e gli uomini valorosi caduti nel tentativo di preservare la Pace nella Sfera Terrestre...”
Sayla alzò lo sguardo verso l'immane distesa di lapidi bianche che era stato il Cimitero Nazionale di Arlington... e che adesso si chiamava Sydney Memorial Field.
Continuò a leggere la data in calce alla targa commemorativa, incisa sotto il simbolo della Federazione Terrestre e, all'improvviso, fu di nuovo il 12 Gennaio 0080.
...lo Shuttle con gli ultimi superstiti della White Base stava partendo dalla rampa secondaria di Luna II. Sayla lo osservò rullare in posizione di lancio attraverso le finestre della sala d'attesa. Immaginò Frau, Kai, Hayato e i bambini infilati nelle normal suits e assicurati alle poltroncine d'emergenza montate nello scomparto cargo della navetta. Ci sarebbero voluti mesi per avere trasporti spaziali regolari. Si voltò verso Bright e Mirai, che le stavano accanto. “Perché Amuro non é qui?” “Perché ti sorprende?” rispose Bright. Era raro sentirlo rispondere ad una domanda con un'altra domanda. “Non credo sia contento che la EFSF voglia tenerci ancora qui...”, suggerì Mirai, “...tutta la faccenda dei test sui potenziali New Types lo fa sentire una specie di cavia.” “Non succederà”, intervenne secco Bright, “ho insistito per rimanere qui proprio per evitarlo” Mirai e Sayla si scambiarono un'occhiata complice. Sapevano fin troppo bene perché Bright non era partito per la Terra con gli altri. “Perché non lo vai a cercare?” suggerì improvvisamente Mirai. Sayla la guardò stupita, ma l'ex pilota della White Base si limitò a sorridere, chiudere gli occhi ed emanare un sospiro. Sayla fece lo stesso, e all'improvviso seppe dove si trovava Amuro...
Sayla riaprì gli occhi. Non sapeva dire per quanto avesse camminato ad occhi chiusi, ma sapeva bene dove si era fermata, nonostante non fosse mai stata lì prima d'ora.
Una lapide bianca come le altre, ma con la sagoma della testa di un unicorno incisa sopra. E, poco più sotto: “Ten. Col. Amuro Ray, 19 Ottobre 0064 – 13 Marzo 0093”. Sayla si era detta più volte pronta a quel momento, ma senti lo stesso le gambe che la abbandonavano. Si chinò, da bravo medico quale era, per rallentare il naturale riflusso del sangue nelle vene e, tenendo ben saldo il suo fardello con una mano, allungò l'altra per sfiorare quella scritta, quel nome... sorrise sfiorando il nuovo grado mentre attorno a lei era di nuovo Jaburo, poco più di dodici anni prima...
...l'equipaggio della White Base era schierato in una delle Sale Briefing e Amuro gridava qualcosa riguardo la promozione postuma di Ryu. Bright cercava di calmarlo ma nonostante questo un ufficiale federale si era avventato sul ragazzo e lo aveva schiaffeggiato. Amuro aveva reagito sfasciando sulla testa del militare il diploma che gli era appena stato consegnato e adesso Kai e Bright lo tenevano fermo mentre tutti strillavano parole irripetibili e che Sayla non aveva mai sentito provenire dalle loro bocche prima. Si sentì una totale stupida ma le veniva da ridere.
“Hanno deciso di promuovermi”, le disse Amuro non appena lei, uscendo dalla doccia, era tornata in camera da letto con solo un asciugamani attorno ai capelli e le pantofole. La frase era certo inappropriata vista la situazione, ma la vera sorpresa era che Amuro l'aveva pronunciata sorridendo. “Pensavo non ti interessassero queste cose” disse Sayla sedendosi sul bordo del letto. Amuro si tirò su a sedere e le carezzò la schiena con un dito. “Mi offrono un posto da istruttore alla Scuola di Volo dell'EFSF a Cheyenne, ma il regolamento impone che gli istruttori abbiano perlomeno il grado di capitano, da qui la promozione...” “Ah”, rispose lei senza emozione. Amuro si avvicinò di più, il suo viso a pochi centimetri da quello di lei, gli occhi negli occhi. “Mi hanno promesso che non dovrò combattere mai più, né faranno più ricerche e test su di me. Ci forniranno anche una casa!” Amuro colse che qualcosa non andava, ma non riuscì a trattenersi dall'aggiungere: “Tutto quello che dobbiamo fare é starcene lì...” Sayla sospirò. Come poteva dirglielo? Era un ragazzo traumatizzato, solo, eppure capace di tanta dolcezza... “Non ti hanno liberato dalla gabbia, Amuro...” disse alla fine. “...te ne hanno solo concessa una più grande” finì lui. Sayla rabbrividiva ogni volta che succedeva. Le loro percezioni New Type erano così intense, quando erano vicini, che lui riusciva a leggerle il pensiero. E viceversa.
Le sensazioni provate durante la fuga da A Baoa Qu erano solo l'inizio. Si erano scoperti in grado di fare sesso assecondandosi l'un l'altra senza dover chiedere... sentendosi davvero, in quei momenti, come una persona sola. Ma adesso non stavano facendo sesso. Magari più tardi, se lui non avesse detto qualcosa di stupido... adesso Sayla era una cosa e Amuro un'altra. E Sayla era molto diversa da Amuro. “Non verrò con te.” disse, distogliendo lo sguardo. Amuro le prese dolcemente il viso tra le mani e spostò il suo per continuare a guardarla negli occhi... e Sayla sentì arrivare quel “qualcosa di stupido”. “Perché, Sayla? Io ti...”. “No”, lo interruppe brusca, “non lo dire nemmeno perché non é vero! Tu in me cerchi lei, ed é con lei che immagini di far l'amore, mentre sei con me. Io sono solo la prima New Type con cui sei stato a letto...” Amuro fece per rispondere ma lei non lo fece nemmeno iniziare. “E detto per inciso, non credo tu ami nemmeno lei. Ti senti responsabile per la sua morte e per qualche strano scherzo del tuo cervello cerchi di ripagarla dandole piacere attraverso di me. Esistono tonnellate di testi medici, per questo tipo di disturbi...” “Non é vero!” sussurrò senza convinzione Amuro. “Lo é!” gridò lei tirandosi in piedi di scatto al punto che l'asciugamano le volò via dai capelli e rimase a fluttuare a mezz'aria, “ti sento che la chiami ogni volta, lo sento nella mia testa...” “É questo, dunque?” ribbatté Amuro sfilandosi da sotto le coperte e rimanendo a fluttuare in boxer nella stanza, “Sei gelosa di lei? Non vuol dire che mi ami, questo? Averlo sopportato per settimane non ti rende automaticamente una donna innamorata?” “No”, rispose lei fredda, “mi rende solo una donna appagata con una grande emicrania...”
Mise giù il bambino. In piedi, era alto a più o meno quanto la lapide. Quella considerazione la sbigottì. “Mamma torniamo in macchina? Voglio andare a giocare!” “Ancora qualche minuto amore, tanto Haro non si sarà ancora ricaricato” “Ma c'é la tv...” Sayla lo aveva sorpreso davanti alla televisione a vedere il cartone animato di Gundam, pochi giorni prima. Ne aveva sentito parlare nei telegiornali, la madre di Amuro aveva minacciato la battaglia legale... Cristo, come era possibile mercificare così sulle ferite ancora aperte della gente? Avrebbe voluto vietargli di vederlo, ma sapeva che non ci sarebbe riuscita. Si mascherò con un sorriso. “Ancora un attimo e andiamo” . Iniziò a piovere, come quel giorno a Nizza...
...osservava la pioggia dalla finestra della sua villa. Aveva imparato ad amare l'imprevedibilità delle piogge terrestri. La rilassavano. Poi, uno schianto, come un tuono, proveniente dal lato opposto dell'abitazione, quello che dava sul mare. Contrariamente alla pioggia, non s'era ancora abituata ai tuoni. Non sapeva distinguerli dalle esplosioni, per esempio. Attraversò la casa di corsa e guardò la colonna di fumo che si innalzava sul margine della spiaggia. Giaceva riverso. Qualche dettaglio era innegabilmente cambiato. Ma lo riconobbe. Fece un passo indietro sentendo il suo cuore che rallentava fino a fermarsi. Quel nome che aveva invocato tante volte e che aveva maledetto altrettante, quel nome che non voleva più sentire né pronunciare si impossessò delle sue labbra: “Gundam”
Amuro aprì gli occhi lentamente. Si guardò attorno e provò cautamente a muoversi. Un dolore lancinante al polso destro. Soffocando una bestemmia, sfilò il braccio da sotto le coperte. Era fasciato dal gomito in giù. “Le gambe non ci sono più, ma il resto non é conciato troppo male...”, disse Sayla come niente fosse. Amuro la cercò nella stanza, era ai piedi del letto, fasciata in una tuta da ginnastica, bella come se la ricordava, anzi di più. Aveva le unghie come una donna soldato non le avrebbe mai potute avere, si trovò a pensare Amuro, nonostante le sue prime parole fossero state agghiaccianti. Il suo sguardo un po`perso non le sfuggì e lei si trattenne dal sorridergli. “A me fa male solo questo” disse Amuro greve, alzando il braccio fasciato. “Parlavo del Re-GZ, imbecille”, sorrise Sayla.
“Da dove arrivi?”, chiese lei. “Dakar, il poligono sperimentale”, rispose lui. “Chi ti ha detto dov'ero?” fece lei, “Kai.” “Kai”, annuì lei. “Perché sei qui?” “Perché non hai mai risposto alle mie e-mail?”, chiese lui. “Perché non hai mai fatto gli esami che ti ho prescritto?”, rispose lei. “Sono stato... “ Sayla poggiò una mano sulla testa di Amuro e chiuse gli occhi. “...impegnato, vedo” si allontanò “pensavo non avresti mai accettato quella proposta” Già, QUELLA proposta... otto anni prima, ad A Baoa Qu. Il patto col diavolo. L'alleanza con Char. “Certe cose sono cambiate”, disse lui, distogliendo lo sguardo. Lei si voltò, era furiosa. “Quali cose?” “Frau. Letz. Mi hanno cercato. Lei mi ha chiesto se...” Amuro si fermò. Sayla si avvicinò. Non c; era più furia nello sguardo, anzi... I suoi occhi sembravano implorare che lui finisse la frase. “...mi ha chiesto di tornare a combattere” Sayla inspirò profondamente. Gli angoli della sua bocca si inarcarono all'ingiù. Schiaffeggiò Amuro con tutta la forza di cui era capace. “Non sei altro che un vigliacco figlio di puttana!” Si allontanò. Non doveva piangere. Non di fronte a quel bugiardo. Amuro saltò fuori dal letto come sette anni prima, nudo salvo i boxer, cercando di raggiungerla. “Sayla ti prego...!” Lei oltrepassò la porta della stanza tentando di sbattere la porta alle sue spalle. Amuro frappose il braccio fasciato tra porta e stipite, sibilando parole che Sayla non sentiva pronunciare dai tempi di Jaburo. Lei corse lungo il corridoio. Amuro le stava dietro a fatica...
Sayla spalancò la porta interna del suo garage, infilò una mano in tasca e ne trasse le chiavi della sua Ferrari F-91. Amuro comparve sulla soglia e rimase a bocca aperta: Proprio davanti la saracinesca del garage, c'era il Re-GZ, privo di gambe, la mano sinistra a terra col palmo aperto e rivolto verso l'alto. “Sayla, ti prego...“ “Sposta quel coso, voglio uscire!”, rispose lei aprendo la portiera della coupé. Amuro la raggiunse e la cinse con le braccia alla vita, allontanandola dall'auto. “Sayla ti prego...” Si sentiva stupido a ripetere la stessa cosa così tante volte, ma non trovava altre parole. Sayla ormai piangeva. Picchiava come una dannata sulla fasciatura di Amuro. Scalciava. Sussurrava imprecazioni ed insulti che nessuno avrebbe mai ipotizzato lei conoscesse. Ma si lasciò portare via dall'auto. Amuro la girò verso di se, bloccandole i polsi dietro la schiena. “Frau mi ha chiesto se sono ancora innamorato di te” le disse, guardandola dritta negli occhi. Quei bellissimi occhi azzurri adesso arrossati dalle lacrime. Lei calò ancora una volta la maschera di ghiaccio: “Cosa vuoi che me ne importi, se anche fosse?” Amuro la guardò in silenzio, per un istante che parve eterno. “Ti ricordi dove ti ho vista, la prima volta?” Lo sguardo sprezzante di lei cambiò in uno di sorpresa. Amuro la gettò sulla mano aperta del Gundam, le afferrò i pantaloni della tuta e gli slip e li sfilò in una volta sola, compromettendo la fasciatura. Poi si gettò su di lei, afferrandola per i polsi... Lei lo guardò dritto negli occhi: “Amuro, mi basta gridare...“ Amuro la guardò di nuovo come prima. Le carezzò il viso. “Ci sto, ma devi gridare il nome che sentirai nella tua testa!“ Senza ulteriore preavviso la prese. Sayla chiuse gli occhi soffocando un singhiozzo prima di tradire con un urlo l'uomo di cui si era innamorata... Si concesse un attimo per ascoltare... “...sayla...” Spalancò gli occhi. “...sayla...“ Sorrise. Le ombre erano ancora tutte lì come otto anni prima, ma adesso Amuro invocava un'altra luce. Sayla vide Beltoitchka nella mente di Amuro. Li vide fare l'amore. E vide lui che amava quella donna e, al culmine del piacere, le sussurrava all'orecchio: “...Sayla.... ti amo...” Vide quella donna piangere, scappare via seminuda. La rivelazione era comica e drammatica al tempo stesso. Lui era sempre stato suo. Per tutto quel tempo. Solo lui non aveva il coraggio di dirlo, e lei non aveva la pazienza per ascoltare. Fecero l'amore lì dove si erano incontrati la prima volta. Sulla mano del Gundam.
“Perché piangi, mamma?” Sayla guardò il suo bambino. Lo aveva portato lì per dirgli la verità, quella verità che nessuno sapeva. Ricordò le volte che incontrò Bright e camuffò la sua dolce attesa in un ampio impermeabile... Si chinò all'altezza del suo piccolo. “Mamma... non si sente bene, amore” Lui la guardò con quella curiosità compassionevole di cui solo i bambini sono capaci, e le carezzò il viso. “Cristo”, pensò Sayla, “gli somigli perfino nel modo di accarezzarmi!” Quella carezza che l'aveva riportato a lei. Quella carezza che glielo aveva portato via ancora una volta.
“Amore, devo andare!” Lei lo guardò rassegnata. Lui le carezzò il viso. “Stavolta comanda Bright , ci si può fidare. Tornerò, te lo...” “No, non lo farai”, lo interruppe lei. Amuro non trovò la forza di rispondere. Afferrò il suo casco e fece per andar via. “Amuro”, disse lei a mezza voce. Lui si voltò di scatto. Lei continuò tra i singhiozzi. “...questa volta devi andare fino in fondo. Fermalo una volta per tutte. Devi ucciderlo.” Amuro sgranò gli occhi. Fece per riabbracciarla. Lei lo respinse una, due volte, poi gli cedette e, tra i singhiozzi, gli sussurrò: “Uccidilo” L'ultima volta che lo aveva visto. Cinque anni fa.
Poi, un mese fa le avevano riconsegnato una parte del suo casco, tutto ciò che era stato ritrovato. Un pezzo del casco spaziale. Troppo poco da seppellire, ma più che abbastanza per smettere di sperare.
“Se non ti senti bene, torniamo a casa!” Sayla afferrò la mano di suo figlio, che ancora indugiava sulla sua guancia e la strinse forte, sciogliendosi in lacrime. Il bambino ritrasse la mano. Guardò la madre fissa negli occhi. Sayla sentì la domanda prima ancora che lui la formulasse: “Qui c'é papà” Sayla non si trattenne più, gettò le braccia al collo di suo figlio e lo trasse a sé. “Sì, Peter... qui c'é papà”
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