matte
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« Risposta #1 il: 06 Aprile 2008, 23:12:41 » |
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seconda ed ultima parte
“Sì Carlo... l'Incubo di Salomon vuole sfidarsi a duello, e sta già dirigendosi verso la tua posizione. L'inizio del combattimento è previsto fra cinque minuti. Come stai a batteria e munizioni?” “Alles OK...” rispose il sottotenente, controllando rapidamente gli indicatori che tappezzavano l'abitacolo. Il duello precedente, con Koontz, era stato una vera e propria passeggiata. Non aveva consumato nemmeno il 10% della carica energetica, e nemmeno una granata. Cinque minuti: Vairetti esaminò rapidamente la planimetria del campo di addestramento. Aspettare lì Gato sarebbe stato un suicidio. “Meglio cambiare aria...” pensò, e si diresse verso l'area a nord-est, in cui il genio aveva costruito un simulacro di città, nel quale allenare i piloti al combattimento in area urbana. Anavel Gato: per Vairetti, quello sembrava un sogno od un miraggio. Qualcosa che, tuttavia, rischiava di concludersi in un doloroso risveglio – molto doloroso. Fece rapidamente il punto della situazione: aveva letto tutti i rapporti riguardanti l'Incubo di Salomon e poteva dire di conoscerne ogni vizio ed ogni virtù – benché, ironicamente, non l'avesse mai visto, né di persona né in fotografia. Anavel Gato amava impiegare strategie simili a quelle di Kaswal von Deikun: attacchi rapidi, veloci – anzi, velocissimi. Tuttavia, mentre la Cometa Rossa preferire eludere l'avversario, e prenderlo di sorpresa, con un unico e decisivo attacco, Gato era l'uomo della “toccata e fuga”. Colpiva e spariva, rapido com'era comparso, esasperando il nemico fino alla sua sconfitta finale. Nel corso del leggendario duello che aveva segnato la fine della sua imbattibilità – lo scontro sulle piane di Marte contro proprio KvD, la Cometa Rossa aveva avuto la meglio danneggiando la gamba destra dello SP di Gato, ed impedendogli di continuare nella sua classica strategia. Difficilmente sarebbe riuscito nello stesso giochetto. Tuttavia, in un ambiente urbano, fra le strade ed i palazzi, la proverbiale velocità di Gato non sarebbe servita a molto. Almeno: in teoria. A quel punto, avrebbe dovuto inventarsi qualcosa. Ma cosa? Il tempo era scaduto, e quando il fuoco di segnalazione esplose sulla verticale del campo, Vairetti già si trovava fra le spettrali rovine di quella città fasulla, l'SP04 ben nascosto nell'ombra di un grande palazzo. Non si fossero esercitati proprio lì, meno di 10 giorni prima, avrebbe potuto provare a nascondersi in quella stessa costruzione – ma Shylock, infuriato per non riuscire a trovarlo, aveva scaricato addosso ai palazzi di quel quartiere un caricatore intero del suo cannone da 180''. Purtroppo, non c'erano – almeno, non facilmente raggiungibili, altre costruzioni abbastanza alte per celare un Null Vier. E, soprattutto, per dargli adeguata copertura termica. Nel silenzio del suo abitacolo, Vairetti decise di ricorrere alla sua carta preferita, ed attivò il sistema sonar passivo. Un dispositivo assai più primitivo, di quello installato sui sommergibili – ma questo passava il convento: con il suo SP fermo, immobile, dei sensori nascosti nelle gambe rilevavano ogni vibrazione del terreno, codificando l'informazione al computer da combattimento il quale, sulla base dei tracciati conservati in memoria, era in grado di identificare la distanza lineare del segnale e, con una certa approssimazione, la sua fonte. In realtà, più che di un sonar si trattava di un sismografo – ma a conti fatti, non faceva poi molta differenza. Non in quel caso, quantomeno. Con sua grande sorpresa, non c'era un solo segnale in movimento. Nemmeno uno. Dove si era nascosto, quel maledetto bastardo di Gato? Una fredda sensazione gli attraversò la colonna vertebrale, da parte a parte. “Dannazione!” pensò, uscendo dal suo nascondiglio più rapidamente che gli riuscì. Proprio mentre Gato crivellava l'edificio di colpi con il suo cannone da demolizione. Oltre ad averlo trovato con ridicola facilità, Gato non stava impiegando armi da addestramento – e non era quella la notizia peggiore.
“Dite all'Oberst Gato di interrompere subito! Sta usando armi da combattimento!” Van Mark scosse la testa: nonostante l'impaurito ed improvviso pallore del comandante del campo, non c'era nulla che potesse fare. Non c'era nulla che NESSUNO di loro potesse fare. Anavel Gato aveva deciso di scendere in campo, ed il comandante della 113. SP-Division non conosceva che un solo modo di combattere – quello. Accettando, o quantomeno: non impedendogli di salire su quel Lohengrin, aveva indirettamente autorizzato l'Incubo di Salomon. “Non si preoccupi, Oberstleutnant...” sorrise freddamente Van Mark: “in fin dei conti è un vostro superiore. Potrete sempre dire di avere obbedito ai suoi ordini...”
Vairetti stava scappando: e già quella era una notizia. I suoi compagni lo osservavano sul maxi-schermo installato in prossimità dell'hangar centrale. Alcuni non ci volevano credere. Altri sorridevano, perché finalmente “il tuono azzurro” stava subendo – ed imparando cosa significasse l'umiliazione della sconfitta. Ma in molti, moltissimi, speravano che il loro compagno riuscisse ad invertire le sorti di quel combattimento. “Ma come ha fatto ad avvicinarsi a Carlo...?” sibilò Oleg Rubinov, nel suo pesantissimo accento ucraino. “E' semplice...” gli rispose Mario Sperlari, il compagno di stanza di Vairetti e, probabilmente, il suo migliore amico, quantomeno nell'accademia. “Ha capito che Carlo si sarebbe rifugiato nell'area cittadina – l'unico posto dove la maggiore velocità di Gato sarebbe stata inutile. E quindi ha rapidamente analizzato le principali costruzioni, identificando quelle abbastanza grandi per ospitare e nascondere uno SP. Ce ne sono tre o quattro al massimo... una sola, tuttavia, direttamente raggiungibile dalla sua precedente posizione... diamine! Quel Gato è un mostro! In pochi minuti ha capito che Carlo cerca sempre di economizzare le scorte energetiche del suo veicolo... ma come ha fatto?” “Deve avere intravisto la telemetria... avrà notato che Carlo aveva consumato solo il 10% delle sue scorte. E da lì ha fatto due più due... quello che mi aspettavo da un genio come Anavel Gato.” “Secondo te, Oleg, può farcela?” Il grosso ucraino allargò le braccia: “io lo spero, ma Anavel Gato è uno dei cinque migliori piloti di tutto il Reich: Kaswal von Deikun, Johan Ridden, Shinn Matsunaga ed Heinrich von Deikun... Carlo è bravo – anzi: bravissimo. Ma pensare che possa farcela contro un mostro come Gato...”
Vairetti continuava a fuggire, inseguito da Gato che, intanto, cercava di spingerlo verso il fiume in secca. L'Incubo di Salomon giocava come il gatto con il topo: ogni venti/trenta secondi rallentava la sua corsa, ed esplodeva due colpi in rapida successione, che bloccavano la fuga di Carlo verso qualsiasi altra direzione. “Perché mi sta spingendo verso il fiume? Perché... ma certo!” Sulla sponda destra del fiume, la piana era più liscia di un biliardo. Ed il terreno era solido e compatto, senza nessuna irregolarità o rovine nelle quali nascondersi. Lì avrebbe potuto scatenare la sua classica strategia, e non gli avrebbe lasciato scampo. “Pensa Carlo, pensa in fretta o quello ti ammazza!” Difficilmente l'Incubo di Salomon si sarebbe accontentato di una bandiera bianca o di una resa. Non si trattava di vittoria o di sconfitta, non più. Era improvvisamente diventata una questione di vita o di morte. Una sensazione nuova per Carlo, qualcosa di opprimente e minaccioso: il suo cuore che correva sempre più veloce, ed i suoi pensieri che cercavano di sfuggir via. E l'obbligavano ad un doppio sforzo, per mantenere il controllo di sé stesso. “Devo ragionare. Devo ragionare...” pensò, ricordandosi quello che gli aveva insegnato suo padre, anni prima, la prima volta che gli aveva messo in mano una pistola: chi non pensa, chi s'abbandona al solo istinto, è destinato alla sconfitta, e prima o poi alla morte. “Devo trovare un modo per rallentarlo... il suo settaggio software del Lohengrin lo rende più veloce di me, dal 10 al 15% più veloce di me.” Correndo, intravide un delle torri dell'acquedotto della base. Un'intuizione lo folgorò. Era nella stessa direzione del fiume. Con qualche piccola modifica del tracciato... Sì, avrebbe potuto funzionare. Ma Gato non avrebbe dovuto intuire la sua vera intenzione, e nemmeno sospettarla – o gli avrebbe bloccato la corsa. Cinquanta secondi: Vairetti rallentò, e lanciò le sue due granate fumogene. Mentre il grigio mantello di copertura avvolgeva il campo, e Gato – come da manuale, prese a sparare in ogni direzione, il giovane pilota continuava a correre verso la cisterna dell'acquedotto. “Dove sta scappando, quel maledetto Welsch!” pensò Gato, che si accorse di lui solo quando, diradatasi la cortina fumogena, sollevata dall'improvviso sollevarsi del vento, la telecamera del Lohengrin scintillò illuminata dal violento sole dell'Andalusia. Si trovava ai piedi di una cisterna, bella e facile preda. Veloce ed implacabile, l'Incubo di Salomon punò il suo cannone e ... “No, è troppo facile!” Ma prima che potesse realizzare la trappola nella quale era sprofondato, fu Vairetti ad usare il cannone da 180 mm: puntato proprio sopra la sua testa. Contro la cisterna. Che esplose, riversando una violenta marea su tutta l'area circostante. Troppo scarsa per travolgere il Lohengrin di Gato, questi sentì un inconsueto nervosismo crescergli dentro. Ed i secondi successivi trasformarono il nervosismo in rabbia. Perché, non appena gli arti inferiori del Lohengrin sprofondarono nella fanghiglia generata dall'acqua e dalla terra porosa e riarsa, Gato capì che Vairetti l'aveva giocato. Nel suo PDSL non aveva dati per il combattimento su terreni del genere. Non aveva mai combattuto in condizioni del genere. Mentre Vairetti sì: mesi prima, le piogge autunnali avevano trasformato il campo d'allenamento in una fanghiglia maleodorante e traditrice. Un addestramento rivelatosi utile. Perché ora il suo Lohengrin riusciva a muoversi, pur con qualche difficoltà, ma senza impacci. Era il suo momento.
“Grandissimo Carlo!” gridò Oleg, dimenando le braccia tanto grandi e forti, che se avessero soltanto sfiorato uno qualsiasi dei meccanici l'avrebbero ridotto a mal partito. “E' il suo momento!” pensò Sperlari. E, infatti, Carlo aveva deciso di passare al contrattacco. Vairetti aveva imbracciato entrambe le machine gun del Lohengrin, nel suo tipico, inconfondibile, modo di lanciarsi all'assalto. Per Vairetti, completamente ambidestro, non solo passare da un'arma all'altra ma anche impiegarle allo stesso tempo e con la medesima precisione era uno scherzetto. La pioggia di fuoco spinse Gato ad arretrare, rannicchiandosi dietro lo scudo dell'SP: una situazione che il suo orgoglio gli impediva di tollerare. E non soltanto per il rischio connesso a quell'attacco rabbioso – morire o meno, per lui non aveva importanza. Non l'aveva mai avuta: per Anavel Gato, la vita, la sua vita per prima, non aveva mai contato più del sogno di un'ombra. Era il suo orgoglio che non poteva tollerare l'umiliazione d'esser sconfitto da un moccioso alla prima nomina – anzi: da un principiante, da un vero e proprio novellino. “Devo trovare un modo...” Fango o meno, terreno stabile o meno, Gato provò a muoversi, cercando di aggirare con un largo movimento a falce Vairetti. Che, invece, restava più in alto, forte di quella sua posizione di vantaggio. “A mali estremi...” Abbandonando la machine gun a terra, Gato scagliò una granata anti-corazzata contro Vairetti. Questi la vide arrivare, e fece appena in tempo a ritrarsi, quando la potentissima carica esplosiva brillò a mezz'aria, investendo il campo di combattimento con la sua onda d'urto. Carlo ne fu centrato in pieno, e prima che potesse reagire, il suo veicolo fu trascinato a terra. Nella caduta, aveva perso i cannoni a braccio - entrambi, che ora giacevano a diversi metri di distanza. Gato, che un istante prima aveva intravisto l'ombra dell'ingloriosa sconfitta, sentiva di poter cantar vittoria: veloce come un lampo, balzò sull'avversario, e scalciò via le sue armi. “E' finita...” sorrise, mentre il mirino del suo cannone da 180 era puntato sull'abitacolo del Lohengrin di Vairetti: a quella distanza, nemmeno un modello K completamente blindato avrebbe potuto resistere. “TU sei finito...” aggiunse, soddisfatto per quella comunque difficile vittoria.
“E ora che faccio?” pensò Vairetti, mentre l'arma nemica era puntata contro di lui. Gli venne una sola idea: e non era nemmeno certo che funzionasse. Ma non poteva rischiare che Gato decidesse di farla finita lì. E di riversargli addosso il caricatore del suo cannone da demolizione. Non poteva rischiare di diventare l'ennesima vittima dell'Incubo di Salomone. “Che Dio me la mandi buona!” pensò, spingendo a tutta forza su entrambi gli attuatori dei reattori installati sul suo backpack. L'impulso, violento, improvviso, spinse il Lohengrin a tutta forza contro l'unità di Gato: preso alla sprovvista, l'asso nazista fu sbilanciato all'indietro. Complice l'ingannevole tenuta del terreno, rischiò di scivolare e ricadere nel fango – salvato soltanto dall'incredibile prontezza dei suoi riflessi. Si riportò in posizione... ma prima che potesse ripuntargli il cannone addosso, le due braccia del suo Lohengrin furono tranciate di netto dalle heat saber di Vairetti. I due arti metallici ricaddero a terra, ed il loro rumore appena soffocò il grido di rabbia di uno sconfitto Gato, e le urla gioiose dei cadetti, che avevano appena assistito a ciò che tutti consideravano incredibile
Cinque giorni dopo, Berlino
Gato odiava aspettare nell'anticamera dei suoi superiori, chiunque essi fossero. Cecilia Zabi compresa. Questa lo sapeva, e lo fece pazientare il meno possibile – il che, tuttavia, significò un'anticamera di circa mezz'ora. Complice l'attesa, l'Anavel Gato che la Feldherrin si trovò di fronte era il più cupo e contrariato che mai avesse visto. Per dirla tutta, in lui c'era qualcosa di spaventoso – e la Zabi conosceva le cause di quell'umor nero. “Non avete ancora metabolizzato la vostra sconfitta, Oberst Gato?” “Signora, preferirei non rispondere a questa vostra domanda...” ribadì, secco e deciso, come sempre. Ma la sua voce tradiva la ferita lontana dal rimarginarsi. “Capisco... comunque sia, ho un paio di notizie da comunicarvi. Per prima cosa, accolgo la vostra richiesta di rientrare nel servizio attivo. Come saprete, tra poche settimane inizierà l'attacco alle piattaforme petrolifere sudamericane. Mio fratello Dozul vi vorrebbe in prima linea – e non è il solo. Anche a mezzo servizio, voi ci servite – Oberst Anavel Gato. Anzi: Oberführer Anavel Gato.” Gato non tradì la minima sorpresa alla notizia della sua promozione. Ne sembrò quasi scocciato, come se quelle cose non lo riguardassero, ovvero lo riguardassero solo di sfuggita, e solo controvoglia. “Come? Non dite nulla, Gato? Vi conoscevo come uomo di poche parole – ma il vostro silenzio è davvero sorprendente.” “Non ho nulla da aggiungere, Signora. Accolgo l'incarico, e vi assicuro che darò il meglio di me stesso.” L'amor proprio di Cecilia Zabi si sentì profondamente ferito – ma la Feldherrin sospettò che tanta freddezza fosse stata motivata proprio dal desiderio di recarle un freddo oltraggio. Non le aveva perdonato di essere la protettrice di von Deikun, né di averlo allontanato dal fronte con la scusa delle sue condizioni di salute... Era quello il suo modo di vendicarsi? Beh, non aveva importanza. Nemmeno a Cecilia Zabi Gato piaceva realmente. Quell'uomo freddo come un ghiacciolo, duro e violento, non avrebbe fatto parte dell'ordine che LEI avrebbe costituito, a guerra finita. “Ah, dimenticavo... ho letto il suo rapporto e ne sono rimasta positivamente impressionata. Le posso annunciare che quel... ah, sì, Carlo Vairetti non resterà molto a lungo fra i banchi di scuola. Ho fatto in modo che sia trasferito il prima possibile in servizio attivo.” Anche quella notizia sembrò soltanto sfiorare la remota impassabilità dell'asso nazista. Il quale, sbrigativamente, chiese se ci fossero altre consegne di suo interesse. Poiché non ve n'erano, sbatté i tacchi dei lucissimi stivali e sollevò il braccio destro con foga e decisione, esplodendo in un vigoroso Hitlersgrüss, che Cecilia Zabi ricambiò sbrigativamente e con poca convinzione. Appena Gato fu scomparso alla sua vista, Cecilia si alzò. Premette un pulsante nascosto sulla sua scrivania, ed un pannello alle sue spalle scrollò, liberando una porta nascosta. Ne emerse un uomo alto e biondo, gli occhi nascosti dietro grandi e spessi occhiali da sole, ed il braccio destro appeso al collo ed avvolto da una spessa fasciatura. “Dovresti conoscere Anavel Gato, l'uomo che non si può uccidere a meno di sparargli un metro dopo l testa... all'altezza del suo amor proprio... non poteva aspettarti che ti coprisse di ringraziamenti.” “Non è certo questo che mi aspettavo, Kaswal... comunque, quell'uomo non mi piace. Mi serve – ci serve, ma non mi piace.” Von Deikun aprì un mobiletto dello studiolo, e ne prese una bottiglia di cognac: lo versò in due bicchieri, e ne porse uno alla Feldherrin, che lo prese e lo trangugiò, avidamente. “Non piace nemmeno a me... ma non è questo il punto. E' uno dei nostri migliori piloti, e se ha dato quel giudizio di Vairetti, possiamo essere certi che il ragazzo sia quantomeno un elemento molto valido. Sei decisa ad assegnarlo alle Waffen-SS?” “Non esattamente... ho un'altra idea in proposito.” Lo stesso giorno, sul tavolo di Gihren Zabi veniva depositata la richiesta ufficiale della Reichsführerin Cecilia Zabi di istituire un nuovo corpo speciale sotto il suo diretto comando. Un corpo aperto agli Hiwi dell'Europa Meridionale: per quel nuovo corpo, il nome era già stato scelto – un nome antico ed in qualche modo glorioso. Si sarebbe chiamata Decima Divisione Mezzi d'Assalto. La Decima MAS. Il suo primo comandante sarebbe stato un giovane ufficiale di nuova nomina. Il suo nome: Carlo Vairetti.
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