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Autore Topic: Ultimate Century: A Way To The Stars: capitolo finale  (Letto 2368 volte)
matte
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« il: 29 Febbraio 2008, 08:28:30 »

qui di seguito trovate il capitolo finale di aWttS, che dovrebbe completarsi a giorni... consideratelo un esperimento partorito fra una visita e l'altra e fra la redazione di una ricerca e l'altra... attendo vostri commenti in merito

NC 399 – 15. Agosto
Cardiff, Comando Centrale dell’Esercito Federale Terrestre

Il generale Strati non ci voleva credere. E quando entrò nella sala di comando, sommersa com’era da quell’irreale ed insolito brusio, pensò ad un brutto scherzo – ad un Pesce d’Aprile fuori tempo massimo.
“Com’è stato possibile?” esclamò – con qualcosa che avrebbe voluto essere un grido, e che invece gli morì in gola.
Gli operatori tattici si guardarono l’un l’altro, cercando il capro espiatorio sul quale scaricare l’errore. Una patata bollente che ricadde su Joel Sparsky, l’operatore anziano. Si liberò dall’auricolare e la gettò sulla propria console di comando, teso e nervoso quanto tutti gli altri, se non di più. Lui, un veterano della Grande Guerra, qualcosa del genere l’aveva già vissuta: la liberazione della Farfalla di Mezzanotte – qualcosa che non avrebbe potuto dimenticare nemmeno dopo mille vite.
“Sono comparsi improvvisamente, quindici minuti fa – ora di Titano.”
Il che significava diverse ore prima. Ma questo non cambiava la sostanza.
“Titano esegue il monitoraggio dello spazio esterno in real-time,” mormorò il generale, appena percepito dal suo secondo Kael Langston, “avrebbero dovuto rilevare una cosa del genere giorni fa…”
A meno che non fossero comparsi dal nulla… una cosa così improbabile che il generale non avrebbe mai potuto nemmeno immaginare.
“Comunque sia, non importa… non a questo punto. Rapporto tattico!”
Langston indicò una giovane operatrice dai capelli biondi raccolti in lunghe trecce dietro il capo: “Tenente Solano!”
La donna armeggiò per qualche secondo con la console, mentre il proiettore olografico ingrandiva il segnale appena comparso.
“Secondo il rapporto tattico proveniente da Titano, un numero compreso fra quattrocento ottanta e cinquecento unità di stazza compresa fra le 500 mila e le 900 mila tonnellate è comparso improvvisamente nello spazio aereo di Titano ed è ora in viaggio a velocità sostenuta verso la cintura degli asteroidi.”
“Quanto sostenuta, tenente?” ribatté il generale.
“Tra metà ed un quarto di impulso, Signore.”
Il generale strinse i pugni tanto forte che le unghie si conficcarono nel palmo della mano. A quella velocità, sarebbero arrivati sulla Terra entro un massimo di tre giorni.
“Abbiamo un rapporto visivo diretto?”
“Sissignore…”
Nessuno di loro voleva crederci. Quelle erano realmente delle navi spaziali, e non appartenevano a nessuna codifica conosciuta dell’Esercito Federale, o di qualsiasi costruttore civile registrato, sulla Terra, Marte, od in uno qualsiasi degli insediamenti umani nel Sistema Solare.
“Abbiamo qualche altra informazione?”
Il silenzio ricadde sulla grande sala, e sulle dodici file di operatori disposti concentricamente intorno al grande proiettore.
“Allora?” ribadì il generale.
Sparsky fece un cenno agli altri operatori.
“Questa è la traccia termica dei loro reattori... abbiamo riconosciuto almeno tre famiglie diverse di propulsori, ma non è questa la cosa importante. Jenny…”
Ai grafici delle tracce termiche se ne sovrapposero altre due, pressoché identiche.
“La traccia termica del 50% circa delle unità era già registrata nel nostro database… Codici di registrazione 01F e 99R.”
“ZERO UNO F????” gridò il generale, questa volta così forte che la sala rimbombò della sua voce.
Non poteva essere vero… perché la classe 01F risaliva agli inizi della nuova era e del Nuovo Calendario. Era la denominazione ufficiale dei reattori di curvatura sperimentali nazisti. Ed il codice 99R era quello delle unità da combattimento Ronah.
“I Ronah… ed il Reich… di nuovo” sospirò…
Strati si morse il labbro carnoso e, con uno sguardo che nulla lasciava al dubbio, sfiorò il proprio comunicatore personale.
“Generale Abel Strati, identificazione Zeta Delta Zero Uno. Codice Omega. Ripeto: Codice Omega.”
Codice omega. Secondo il cifrario ufficiale dell’esercito federale terrestre del 392 NC: mobilitazione generale di tutte le unità operative lungo la linea difensiva di Salomon – Luna 2 – Granada, ed immediata instaurazione dello stato di emergenza nazionale su tutto il territorio federale.

Alcuni minuti dopo
Almeria – Ammiraglia della flotta dell’Alleanza

Così era quella, la Terra? Quella sfera bianca, verde ed azzurra sospesa nel silenzio dello Spazio, orbitando attorno un Sole come tanti altri, in un anonimo angolo della Spirale galattica…
“Ecco, dove tutto ha avuto inizio…” sospirò Krassimir Berbatow gustando il delicato profumo del vino di Moralia.
“Chissà se anche sulla Terra hanno vino così prelibato…” pensò, mentre le sue labbra sfioravano il bordo del suo calice d’oro e d’argento.
Entro poche ore l’avrebbe scoperto. Del resto, come avrebbe potuto la Terra opporsi alle forze congiunte dell’Alleanza.
“Vedi, Kyprian? Là, da qualche parte… là c’è il tesoro più prezioso di tutto l’Universo conosciuto… là… e quei pazzi sono vissuti nella sua ignoranza per migliaia di secoli…”
Demirel si sollevò dal suo sofà, pigramente. Non gli piaceva, quel Berbatow, ed il suo modo di fare non gli andava per nulla a genio. Nemmeno ora, che dissimulava una fredda amicizia. Era convinto che quell’uomo gli nascondesse qualcosa.
“Quando avremo conquistato la Pietra del Sole, tutto l’Universo sarà nostro, Demirel… nostro. Il potere – il sommo potere. Qualcosa che i nostri antenati non avrebbero mai potuto immaginare.”
“Per farlo però,” sospirò Demirel, stiracchiando le lunghe braccia affusolate, “dovremo spazzare via quella ridicola federazione terrestre…”
“Non sarà un problema,” rispose Berbatow. Aveva pianificato tutto, nei minimi dettagli. Cinquecento navi da combattimento, oltre seimila mobile suit di ultima generazione… distruggere le forze terrestri sarebbe stato uno scherzo. Specialmente ora, distrutta la Phoenix ed annientata la minaccia che quella nave aveva rappresentato per tutta l’Alleanza.
“Quasi quasi mi dispiace che Lassiter ed i suoi scagnozzi non siano qui, a vedere la fine della loro Federazione Terrestre…” sospirò Demirel umettandosi le labbra, che improvvisamente avevano ripreso il sapore metallico del sangue di Lang.
“Non temere… tu e le tue SS non resterete con le mani in mano…”
Possibile, pensò Demirel, che davvero il Grande Sogno degli Zabi stesse per giungere al suo compimento?

Nello stesso momento
Marte, base federale della 102a divisione MS

L’allarme era arrivato improvviso, come il proverbiale fulmine a ciel sereno. Sven Omert pensò ad uno scherzo, ma quando l’allarme Omega risuonò tre volte consecutive, realizzò che non si trattasse affatto di un’esercitazione – o di qualcosa del genere.
Era appena uscito dal centro medico, per il solito controllo del braccio destro – quando la sirena investì l’intera base con il suo inconfondibile sibilare.
“Che diamine…” pensò, correndo immediatamente verso il comando divisionale, dove – pensava, avrebbe ricevuto qualche informazione un po’ più dettagliata.
Non si sbagliava.
Il capo di gruppo aereo della 102a aveva appena ricevuto le istruzioni dal comando centrale di Cardiff. Qualcosa che non si vedeva dai giorni dell’ultima battaglia contro i Ronah, e che i più giovani non avevano mai vissuto.
“Sven? Cosa caspita ci fai qui?” domandò Ilsa Ypsilanti, suo sostituto alla guida del 102°, almeno fin quando non si fosse completamente ripreso dalle ferite.
“Che domane, Ilsa… si può sapere cosa stia succedendo?”
Ilsa gli consegnò gli ordini di servizio, appena arrivati. La flotta sconosciuta… e soprattutto la tracciatura termica dei reattori…
Non finì nemmeno di leggere. Portò la sinistra alla fondina della pistola, la estrasse e, sotto gli occhi allibiti di Ilsa, la afferrò per la canna.
“Ma cosa…”
Prima che Ilsa potesse dire una sola parola in più, Sven colpì con il calcio dell’arma il gesso che ancora immobilizzava il suo braccio destro. Dominando il dolore, che pure gli dipinse una smorfia sul viso, lo colpì una seconda, ed una terza volta. Finché il gesso non si frantumò, ricadendo a terra.
Inspirando profondamente, ed accompagnando la fuga del dolore, che ancora gli mordeva le carni, Sven mosse il braccio immobilizzato da tanti mesi, compiaciuto del suo rispondere ancora, nonostante tuto.
“Se metà di questa storia è vera… avrai bisogno di tutti i piloti a disposizione per venirne fuori…”
“Non penserai davvero…”
“Ehi ragazzi,” la interruppe, tratteggiando sul proprio volto il suo sorriso furbo e spavaldo, “il vecchio Sven è di nuovo fra di voi…”

WCF01 - White Base – ammiraglia della Flotta Federale su Marte

Il capitano Walter Synapse entrò sul ponte di comando in condizioni tanto impresentabili che, in altre circostanze, si sarebbe mandato da solo alla corte marziale. La barba lunga, la divisa in qualche modo gettata sulle spalle ed aperta sul petto, le scarpe slacciate:  l’Allarme Omega l’aveva scoperto sui di laghi del monte Olympus, godendosi la prima licenza da oltre sette anni.
“Capitano sul ponte!” esclamò il primo ufficiale Abdel, colto alla sprovvista.
“Lasci perdere, Karel… non abbiamo tempo per queste fesserie. Situazione?”
Abdel gli espose la situazione, rapidamente, e con poche parole: l’allarme aveva correttamente raggiunto il 97% degli effettivi e la mobilitazione aveva superato la soglia dell’88%, normalmente ritenuta ottimale dalle linee guida dell’esercito. La situazione della White Base rispecchiava quella del resto dell’Esercito. Sarebbero stati pronti al decollo entro un’ora. Anche se …
“Anche se abbiamo ancora qualche problema con i mobile suit. Il reparto ricerca e sviluppo stava provando i nuovi collettori Heiserow sugli F95 quando…”
“Mi passi subito il ponte mobile suit!” esclamò il comandante, la cui fronte spaziosa era contratta in una smorfia contrariata.
Il primo ufficiale consegnò al suo comandante il comunicatore a filo, già collegato con l’hangar principale, il cui infernale trambusto era testimoniato dai rumori metallici di sottofondo.
“Abbiamo Ortega in linea…”, soggiunse il Primo Ufficiale, facendosi un passo indietro.
“Hashley?”
La cinquantatrenne capo meccanico della White Base, Hashley Ortega, era fradicia di sudore: non soltanto il sistema di condizionamento dell’hangar era impazzito, ma aveva scelto di farlo nel momento peggiore – probabilmente, di sempre.
“Sì capitano?”
“Che cavolo state combinando sui miei mobile suit?”
La Ortega si appoggiò con le spalle alla parete dell’hangar. Davanti ai suoi occhi, gli altri meccanici si stavano affannando attorno ai mobile suit, spicciandosi a rimettere i veicoli in condizioni di combattimento.
“Per questa settimana,” spiegò, mentre le sue dita arrotolavano il filo arricciato del comunicatore, “erano in programma le prove sui nuovi connettori… avevamo appena finito di installarli quando…”
“In altre parole?” sibilò il capitano.
“In altre parole, abbiamo metà dei MS con il reattore off-line…”
Il capitano Synapse soffocò le sue imprecazioni colpendo il bracciolo della sua poltrona di comando con tanta forza da spaccarlo in due. Fortunatamente, la Ortega non lo vide…
“Senta Hashley… quanto vi servirà per rimetterli in linea di combattimento?”
In realtà, il capo meccanico non ne aveva la minima idea.
“Signore… non possiamo disinstallare i connettori durante il volo…”
“Potete riattivare i reattori, giusto?”
“Sì, ma…”
“Niente ma! Ortega, voglio quei MS in linea di combattimento prima della partenza! Se non siete in grado di riattivarli, scaricateli a terra.”
Il capitano chiuse la trasmissione gettando via il comunicatore. Ma proprio in un momento del genere i meccanici si divertivano a fare degli esperimenti?

Cardiff, Comando centrale dell’Esercito Federale Terrestre
“Generale Strati, la Revil è pronta a decollare in qualsiasi momento…”
Il generale annuì: i suoi occhi e la sua mente restavano fissi sullo schermo olografico, sul quale i dati della misteriosa forza nemica stavano rapidamente completandosi.
A quella velocità, sarebbero arrivati al fronte difensivo entro le 19:00 GMT del 18 Agosto. Appena in tempo per permettere allo flotta di Marte di unirsi al combattimento. Troppo presto perché i rinforzi da Venere, Axis, Titano e Ganimede potessero arrivare sul posto…
“Se queste stime sono corrette…” pensò il generale, “saremo in netta inferiorità numerica…”
“Generale!”
Era il suo attendente, Johan, e nella destra reggeva un voluminoso comunicatore,  di quelli solitamente utilizzati per i contatti riservati.
“Il Primo Console la vuole sulla linea privata…” sussurrò Johan, consegnandogli lo strumento.
Il generale annuì ed afferrò il comunicatore.
“Primo Console?” sibilò: non voleva che gli altri riuscissero a sentirlo. Già immaginava quel che si sarebbero detti.
“Generale Strati,” gli rispose la voce del Primo Console Rayoy, rauca e segnata da trent’anni d’indefesseo tabagismo: “mi conferma la situazione?”
“Purtroppo sì… posso suggerirle di riparare su Venere, signore?”
Rayoy, nel suo studio di Roma, guardò il pannello strategico: per un attimo aveva sperato che ci fosse un errore.
“Lei scapperebbe al mio posto, generale?”
Strati rimase in silenzio. Mentire non era il suo forte – nemmeno quando sarebbe stato “politicamente più opportuno”.
“No, signore…”
“Bene… allora può capirmi. Generale, mi ascolti… voglio una risposta netta, da parte sua. Perché sto per prendere una decisione che potrebbe fare di me il più grande criminale della storia umana… lei ritiene che la situazione presenti i caratteri di assoluta emergenza per la sopravvivenza della Federazione Terrestre?”
Il generale sentì un brivido scorrere lungo la propria schiena. Perché quelle parole echeggiavano un testo che tutti i membri dell’Alto comando conoscevano a memoria.
“Lei sta dicendo…”
“Le sto dicendo che, in base all’articolo 4 del Decreto Federale numero 375 del 390 NC io le ordino di prendere in consegna il Midnight Butterfly, e di impiegarlo qualora la situazione dovesse precipitare.”
Quelle parole risuonarono come una sentenza. Nemmeno se il Primo Console avesse ordinato un attacco con tutte le armi nucleari a disposizione dell’Esercito Federale Terrestre il Generale si sarebbe sentito tanto sovrastato dai fatti e dalle responsabilità.
Il generale capì che non sarebbe stato possibile obiettare alla decisione consolare: il Midnight Butterfly sarebbe stato dispiegato, come da ordini ricevuti, e questo rendeva entrambi potenzialmente complici nel più grande misfatto della storia umana.
“Affermativo, signore…” sibilò il generale, intendendo tutt’altro.
La comunicazione si chiuse, mentre pensieri confusi ed opprimenti  iniziarono a ronzare nella mente del generale Strati.
Il Midnight Butterfly!
L’arma maledetta dei Ronah. La più devastante arma di distruzione di massa che l’umanità avesse mai dispiegato. Un sistema di naniti programmati per identificare qualsiasi struttura meccanica, degradarla, annientarla, ridurla negli atomi costituenti ed impiegare questi ultimi per auto-riprodursi, e propagare la piaga all’infinito…
Secondo le stime successive alle Guerre Feudali ed alla battaglia di Zedan, la liberazione del Midnight Butterfly avrebbe provocato, nel giro di poche decine di ore, il ritorno della cultura umana all’età della pietra. Le colonie… dissolte nel corso di un giorno. I pianeti coloniali, Venere, Io, Titano, forse lo stesso Marte… quelle arche che l’umanità aveva lentamente e faticosamente mutato per renderli ventre fecondo della vita organica, ed ancora immaturi, incapaci di sostentarsi senza il continuo intervento dell’uomo, sarebbero ritornare al loro stato di fredda e nuda roccia.
Secoli, millenni forse, sarebbero serviti per ripristinare la civiltà umana quale essa era conosciuta, in quel momento. O forse no. O forse nemmeno un miracolo avrebbe permesso all’uomo di elevarsi nuovamente dalla schiavitù della natura e delle sue leggi inflessibili, ciò che la tecnologia aveva faticosamente permesso in un percorso millenario…
Perché il Midnight Butterfly, l’arma perfetta, l’arma capace di annientare qualsiasi nemico, aveva un difetto. Non poteva essere fermata. Chiunque avesse deciso di usarla, doveva essere conscio di ciò che il suo agire sarebbe andato a dischiudere.
Tutto ciò spettava a lui: alla sua mano, ad una sola decisione,  stabilire se l’umanità avrebbe potuto continuare la sua strada, oppure no. Un peso che avrebbe schiantato spalle assai più solide di quelle che il destino aveva consegnato al generale Strati…

Il giorno dopo
Luna, Granada – Quartier generale della Marina Spaziale dell’Esercito Federale Terrestre

“E questi affari cosa sarebbero?”
Il colonnello Saymour Mass aveva sentito parlare degli hangar segreti di Granada, costruiti all’epoca della fondazione della città, e coperti da un secolare e soffuso chiacchiericcio, voci mai confermate ma mai smentite. A quanto pare, era tutto vero.
“Sono esattamente quello che lei crede, signor colonnello!” esclamò l’Oberst Sanfilippi, appoggiandosi alla poltrona di controllo di quella vecchia e polverosa sala comandi. Davanti a loro, oltre un sintovetro corazzato dello spessore di quasi mezzo metro, in grado di resistere alla pressione di quasi mille atmosfere,  si trovavano dispiegati oltre duemila colossali missili armati con testate nucleari. Un relitto di tempi “decisamente non così civili”, come amava chiamarli il padre di Sanfilippi, all’epoca del predominio Ronah curatore dell’Arsenale Segreto.
“Alla fine della Prima Guerra Coloniale,” spiegò l’occhialuto Sanfilippi con il solito tono da primo-della-classe, “il presidente Lassiter ordinò che tutte le armi nucleari fossero rimosse dagli arsenali, e messe sotto il diretto controllo dell’Esercito Federale Terrestre. Il progetto rimase, in realtà, inesaudito fino alla comparsa dei Profeti… Alla fine della Seconda Guerra Coloniale,  fu deciso di utilizzare questo sterminato hangar sotterraneo, costruito dai Nazisti all’epoca della colonizzazione lunare, e di conservare qui tutte le testate disponibili. La mia famiglia si occupa della custodia dell’Arsenale dall’epoca dei Fatti di Roma.”
Il pensiero che una potenza distruttiva pari a decine di migliaia di gigatoni si trovasse immobile e quiescente di fronte ai suoi occhi lasciò il Colonnello praticamente senza fiato.
“Nonostante mio padre fosse fedele al vecchio Karozzo, ricostituita la Federazione si decise di lasciargli l’incarico, commutando il suo ruolo nella Milizia in un titolo militare ufficiale…”
“Ma questi cosi funzionano ancora?”
Sanfilippi si fece molto serio. Si tolse gli occhiali e sfiorò il comunicatore.
“Markus Sanfilippi, Orberstkommandat. Codice di autorizzazione 01-09-894. Codice di attivazione Omega Tango 9 Charlie. Attivazione del sistema di controllo.”
La sala, fino a quel momento avvolta nella penombra, e l’hangar al di là di quella si illuminarono all’improvviso. Ciò che pochi istanti prima era sembrato vecchio, abbandonato, tremebondo ma inutile, diventò minaccioso come la lama di un pugnale puntato dritto al collo.
“Il manico può sembrare eroso dal tempo, ma il taglio è molto affilato… prima dei Fatti di Roma, il Ministro Arnaux fece trasferire e modificare le testate, che furono installate su nuovi vettori. Tutti i missili di fronte a lei sono operativi. Ciascuno installa un numero di testate compreso fra 8 e 12. In tutta sincerità, non so quante di esse siano ancora effettivamente rispondenti agli standard costruttivi: non dimentichiamo che il loro propellente nucleare fissile risale ad oltre trecento anni fa… In compenso, i circuiti di deuterio e trizio sono stati revisionati pochi anni fa, non appena diventai responsabile dell’Arsenale.
Ah… dimenticavo di mostrarle il pezzo forte. Vuole seguirmi?”
Sanfilippi condusse il colonnello attraverso una serie di condotti e passerelle sospese su quella sterminata messe di mostri dormienti. Penetrati nell’hangar vero e proprio, e discesi al livello del suolo, il colonnello si sentì letteralmente minuscolo di fronte a quelle armi colossali – a quei cilindri di metallo alti quanto un grattacielo… ed in grado di annientare città intere in un colpo solo.
Ad un certo punto, le colonne di quella tecnologica cattedrale di morte s’interruppero. Si lasciarono la selva di missili alle spalle, ritrovandosi di fronte a quello che sembrava un immenso spazio aperto, lastricato di pietra grigia e liscia come il vetro. Tanto liscia, che il primo passo del colonnello si tradusse in un mezzo inciampo.
“Eccolo qui…” disse Sanfilippi, indicando poco davanti a loro.
Lì il piano s’interrompeva, e s’apriva un immenso pozzo dischiuso su piani ancora più profondi, come se ciò che lì si celava non potesse che appartenere all’oscuro e freddo ventre del planetoide, ed alle infere divinità che in esso abitavano dal principio dei tempi.
Rossa come il sangue dei martiri, spuntava dall’oscurità il vertice di un altro missile, tanto più grande di quelli che si erano lasciati alle spalle quanto lo è un elefante rispetto ad una farfalla.
“Colonnello Mass, le presento Satana. Satana, ti presento il Colonello Mass.”
Quel nome risvegliò un ricordo nel cervello del militare. Un nome sopito fra i ricordi della scuola elementare,  delle leggende della Prima Guerra Coloniale.
“Satana? Vuole dire che questo…”
“Esattamente, colonello. La testata di questo missile ISS-09X è la XF09-D ‘Shaitan’… la stessa che Dozel Zabi tentò di fare esplodere ad Odessa. La stessa che Anavel Gato provò a far detonare sulla superficie lunare trecento e rotti anni fa. Inoltre, a differenza di tutti gli altri missili, Satana dispone di uno SKeSTRAL-canceler. La sua attiità può essere in nessun modo alterata da un sistema di campo Minowsky-Ionesco, nemmeno dal più potente attualmente disponibile.”
Il marchio dell’Unicorno dorato inciso sulla testata del missile lasciava pochi dubbi riguardanti la paternità di quell’arma mostruosa.
“I Profeti?”
“Esattamente… testata e SKeSTRAL-canceler vennero ritrovati su Marte pochi mesi dopo la fine della Seconda Guerra Coloniale. Una tecnologia sorprendentemente avanzata… probabile che Handersen avesse messo le sue zampe su tutto ciò… o forse lo stesso Ionesco. Comunque sia, l’ultima revisione, eseguita poco meno di un anno fa, ha rilevato che la testata sia ancora pienamente operativa. I Ronah, inoltre, avevano raddoppiato la quantità di combustibile ad idrogeno, portando la sua potenza a qualcosa come 20 gigatoni… potenzialmente, quest’arma sarebbe in grado di annientare persino il Midnight Butterfly, qualora fosse necessario dispiegarlo…”
Già, ma a quale prezzo?
Non ci trovava, il colonnello Mass, niente di che esser realmente soddisfatto né entusiasta. L’esplosione di quella testata in assenza di atmosfera avrebbe prodotto un impulso elettromagnetico in grado di annientare qualsiasi macchina non schermata che si trovasse nella sfera terrestre. E quello sarebbe stato il meno. La radiazione emessa avrebbe annientato qualsiasi forma di vita organica che fosse stata ad essa esposta… metà della popolazione terrestre, metà delle colonie, nei punti L1 ed L2…
“Capisco la sua reazione, Colonnello… ma siamo qui su ordine del generale Strati. Prima di ricorrere al Midnight Butterfly, è intenzione del generale dispiegare quelli …” ed indicò i missili alle loro spalle. “Dovessero fallire, sarà il turno del Midnight Butterfly… in quel caso, Satana dovrà essere armato e rilasciato per bloccare lo stesso Midnight Butterfly… metà della popolazione terrestre è meglio che TUTTA la popolazione umana… non le pare?”
“Gli antichi chiamavano questo genere di alternative ‘evil’s alternative’, Alternative del Diavolo…”
Mai ad un’arma di morte era stato dato un nome tanto calzante.

Linea difensiva federale di Zedan
Ammiraglia della II Flotta Federale “Generale Yehoshua Revil”
I quattro hangar di volo della grande nave da guerra erano sovraffollati di piloti e meccanici. L’arrivo degli Sconosciuti si contava ad ore, ormai – non più in giorni, e tutti sapevano che, qualsiasi intenzioni avessero, non ci sarebbe stato da aspettarsi nulla di buono.
Sebastian Vairetti era fra quelli che pensavano al peggio.
“Se quelli sono i Nazi ed i Ronah…” spiegò a Charles, il suo capomeccanico, mentre voracemente azzannava un insipido caprese, “… non credo che verranno in gita di piacere…”
“Affatto…” mormorò distrattamente Charles, troppo preso dalla sincronizzazione del giroscopio dell’F95 per dedicarsi alle fisime di Vairetti.
“Mi domando da dove vengano… e come abbiano fatto ad arrivare fin qui senza che su Titano o Plutone si accorgessero del loro arrivo…”
“Plutone deve coprire una superficie infinitamente superiore all’area sorvegliata dagli Insediamenti Esterni… a volte mancano dei banchi di asteroidi e di comete – figuriamoci…”
Rodrigo Mendez, il CAG del primo Squadrone del 103° MS, il diretto superiore di Vairetti.
“Tenente!” esplose quest’ultimo, con la bocca ancora mezza piena di pane e formaggio ed annaspando un improvvisato saluto militare.
“Lascia perdere Seb… comunque, tornando al discorso di prima, pare che siano comparsi dal nulla esattamente come la Phoenix c’è scomparsa tre anni fa…”
La parola Phoenix risvegliò l’attenzione di Charles. Il giroscopio avrebbe potuto aspettare: c’era suo fratello, su quella nave.
Johan.
Johan Nemecheck, l’ufficiale scientifico.
“Secondo me, durante il volo devono avere avuto dei problemi con il propulsore di curvatura… e devono essere finiti in una qualche anomalia spaziale…”
“Ah… dici la Phoenix, Charlie? Puede ser… può essere”, rispose Mendez – che comunque, come ammise lui medesimo, di ingegneria aerospaziale non si intendeva a sufficienza per intavolare un lungo discorso su quell’argomento.
“Ne avevano parlato a lungo, a suo tempo…” concluse, “… forse l’esplosione sui reattori di babordo… ma ripeto, non ne so abbastanza per discuterne. Mi interessa di più che il mio mobile suit sia pronto per domani.”
Il meccanico indicò la bandiera a scacchi bianchi ed azzurri, sulla quale troneggiavano due folgori scarlatte incrociate: lo storico stemma dei Tercios Viejos, il 103rd MS sin dall’epoca della Prima Guerra Coloniale.  Che la scomparsa del 101° insieme alla Phoenix aveva trasformato nella punta di diamante di tutto l’esercito federale, insieme ai Cavalieri di Malta del 99th.
“Non si preoccupi, tenente… il suo Avenger è già in linea di combattimento… è quello del sottotenente Vairetti che ha bisogno di una bella messa a punto – come al solito, ha il giroscopio fuori uso ed i vernier completamente bruciati.”
Mendez guardò Vairetti, che sulle labbra aveva dipinto il sorriso del bambino scoperto con le mani nella marmellata, ed allargò le braccia:
“Jesus!” sospirò, “ma si può dare che sia sempre la solita storia, Sebastian? Ti renderai mai conto che la vittoria in battaglia passa per una buona manutenzione del proprio mobile suit?”
“Dovrebbe saperlo, signor tenente…” abbozzò come scherzo il giovane sottotenente, “che noi Vairetti siamo gente piuttosto… per così dire, focosa.”
“Sì, lo so: delle grandissime teste di …, sin dai tempi di quel tuo trisavolo.”
D’altro canto, riprese, chi si sarebbe mai buttato da 10.000 metri d’altezza con un mobile suit privo di qualsiasi forma di propulsione aerea per atterrare con un paracadute sull’aeroporto militare di Malta? Ecco, solo un pazzo che girava per il mondo con un mobile suit azzurro scintillante, che nel bel mezzo della battaglia finale della Prima Guerra Coloniale continuò a combattere finché le giunture del braccio del suo Beowulf non si fusero per il sovraccarico… e che, durante il processo di Norimberga, si assunse tutte le responsabilità del caso riconoscendosi reo confesso per tutto quanto commesso durante la Guerra, arrivando infine allo storico voltafaccia e combattere contro i Profeti nel corso della Seconda Guerra Coloniale. O come quel suo altrettanto celebre nonno, pluricampione del G-Champ dell’Accademia militare… anche quello matto come un cavallo, tanto che alcune sue “trovate” giravano ancora per il mondo come leggende metropolitane.
Fortunatamente, insieme all’insana follia degli avi, Vairetti aveva ereditato anche la sopraffina abilità quale pilota di MS. Se fosse stato un po’ più disciplinabile…
“Ma non sarebbe Vairetti…” pensò, lasciando che quella conclusione non fosse tradita nemmeno dallo sguardo.
“Beh, fai del tuo meglio,” riprese Mendez, “visto che sono arrivati gli ordini di combattimento – e a quanto pare saremo noi, come al solito, a spupazzarci il grosso del lavoro…”
“Quanto vorrei che quei fighetti del 101° fossero qui a darci una zampa…”




T meno 2 ore
Almeria – Ponte tattico

Demirel osservava annoiato Berbatow, sempre più convinto che tutto quel suo parlare celasse il vuoto che quei vecchi idioti Lamantini… Annegando nel piacevole comfort di quella poltrona tattica, i suoi occhi sottili ed affilati osservavano il complesso piano di battaglia che quell’uomo stava lentamente esponendo ai comandanti della flotta.
Tanta complicazione… per cosa, poi?
Kypryan avrebbe risolto la cosa a modo suo, non ci fosse stato Berbatow di mezzo – e l’avrebbe fatta molto, molto più semplice.
Superavano i terragni di numero di 2 ad 1 – almeno, stando ai dati che avevano rubato alla Phoenix.
Come numero di Mobile Suit, li surclassavano di 4 ad 1. Forse di più.
Si fosse trattato soltanto di Tieren, Flag ed Artemis, avrebbero avuto ragione di preoccuparsi – soprattutto se dall’altra parte avessero schierato gli stramaledetti mobile suit bianchi. Ma ormai la dotazione di Flag ed Overflag era più che sufficiente, e del resto la Federazione non doveva disporre di un numero sufficientemente pericoloso di tali nuovi modelli.
E poi c’era l’Anello. Non appena arrivati all’obiettivo, su quella che i Terrestri chiamavano linea di Zedan – l’Almeria avrebbe iniziato il dispiegamento del Ponte Spaziale. Perché quel grande cerchio fosse completo e pronto sarebbero servite un paio d’ore – non di più. Dopodiché, dall’altra parte, migliaia di navi e di mobile suit avrebbero fatto irruzione nella sfera terrestre, chiudendo il conto una volta per tutte…
No, di tanta tattica non c’era proprio bisogno, quando la strategia era chiaramente vincente.
“Demirel, vuole aggiungere qualcosa?”
Kypryan, assorto nei suoi pensieri, non aveva nemmeno idea di cosa stessero parlando, né gli importava.
“No, Generalissimo… del resto, non credo che sia necessario aggiungere una sola parola.”
Si alzò dalla sua poltrona, lentamente… poi, come se un pensiero fosse improvvisamente apparso nella sua mente, gli occhi si illuminarono di una fiamma diabolica. Risollevò lo sguardo verso il comandante dell’Alleanza e, guardandolo minaccioso:
“No, c’è una cosa che voglio dire…” fece, “una promessa che voglio pronunciare di fronte a tutti voi. Che qui, oggi, la faremo finita una volta per tutte con i maledetti terragni.”
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